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venerdì 25 gennaio 2013

martedì 22 gennaio 2013

Corso di Storia della Teologia


UNIVERSITÀ 
VALDOSTANA
TERZA ETÀ

UNIVERSITE
VALDOTAINE
TROISIEME AGE                                                                                             
                                                                                            


STORIA DELLA TEOLOGIA
Biblioteca Regionale 
(fino ad esaurimento di 80 posti)
Via Torre del Lebbroso, 2 
AOSTA

docente Maurizio ABBÀ

“Domande per Sapere, Risposte per Domandare
Ancora: la Ricerca del Dialogo e del senso della vita nei
percorsi della fede. 
Movimenti e figure della teologia
e della spiritualità cristiana.”

mercoledì
ore 16.30
dal 23 gennaio al 13 marzo 2013

STORIA DELLA TEOLOGIA
accreditato dalla Facoltà Valdese di Teologia di Roma
 Laurea in Scienze Bibliche e Teologiche  
e Certificato di Formazione Biblica e Teologica

lunedì 14 gennaio 2013

sabato 12 gennaio 2013

La Trinità al centro della fede cristiana


DIALOGHI CON PAOLO RICCA


TRINITÀ: TRE MANIFESTAZIONI O TRE MODI DI ESSERE DI DIO?


Scrivo in merito alla rubrica di Paolo Ricca sul settimanale Riforma del 26 febbraio 2010 in cui il professore risponde a un lettore in merito alla fede trinitaria. Nella sua risposta è possibile leggere quanto segue: «La categoria “persona” applicata alla Trinità (“un Dio in tre persone”) è fuorviante perché ha oggi un significato ben diverso da quello che aveva nel IV secolo. Allora significava la maschera che l’attore portava sul volto per interpretare un personaggio. Oggi invece significa un individuo, un soggetto unico e irriducibile a ogni altro. È possibile spiegare la dottrina trinitaria? … Ci provo. Ciascuno di noi è, al tempo stesso, molte cose, pur essendo e restando una singola persona. A esempio posso essere, al tempo stesso, figlio, padre e zio. Oppure piemontese, italiano ed europeo… E così via. Siamo, pur essendo uno, tante cose secondo le tante relazioni che compongono la trama della nostra vita. Ciascuno di noi è, al tempo stesso, uno e molteplice. Questo non compromette l’unità della persona, anzi l’arricchisce. Così Dio è uno e tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, tre modi diversi di essere l’unico Dio».
Un tale concetto di Trinità si ritrova già nell’Alfabeto evangelico di Giorgio Tourn, citato sul sito, dove, alla voce Trinità si può leggere la stessa interpretazione della fede trinitaria: non si tratterebbe di tre persone, nel senso moderno del termine, ma di modi diversi di presentarsi dell’unico Dio. Ma questo è il Modalismo: una sola Persona divina manifestatasi in tre modi distinti! Per la confessione constantinopolitana della Trinità si tratta invece di tre reali e distinte sussistenze, quindi persone nel senso moderno del termine. Il concilio di Costantinopoli infatti usò il termine «ipostasi», che non significava affatto «maschera», ma «sussistenza», quindi «individuo». L’interpretazione dunque che si dà del dogma sul sito valdese è a dir poco ambigua. Io sono un evangelico modalista, e so che le Chiese modaliste non possono far parte del Consiglio ecumenico delle Chiese. Eppure ci troviamo d’accordo con quanto scrivono Ricca e Tourn sul modo d’intendere il Dio trino. Perché noi fuori [dal Consiglio ecumenico] e i Valdesi dentro? Non credo si tratti di una domanda oziosa. Noi cristiani evangelici modalisti siamo tanti nel mondo, e la nostra esclusione è una grave lacerazione al corpo mistico di Cristo. La spiegazione della Trinità in termini modalisti e la contemporanea presenza nel Consiglio ecumenico che esclude i modalisti pone la Chiesa valdese in una situazione, a mio modesto parere, di imbarazzante ipocrisia. Inoltre ho sempre desiderato studiare per diventare pastore valdese, ma finora ho creduto la cosa inconciliabile con la mia fede modalista. Ma a questo punto domando: potrei diventarlo decidendo, per chiarezza e non per polemica, di sostituire, nell’ordinazione, l’espressione «tre persone» della confessione di fede valdese con «tre modi di essere»? Da quanto ho letto finora sul vostro sito, la risposta dovrebbe essere «Sì».

Antonio Colaiacovo 


Succede che una e-mail resti sepolta sotto altre o che il suo arrivo in posta elettronica sfugga al suo destinatario. Dev’essere successo qualcosa del genere con questa e-mail di due anni e mezzo fa, di cui evidentemente non mi sono accorto, dato che non ho risposta su Riforma né mi sono fatto vivo con l’autore in altro modo. Di questo naturalmente mi scuso con il nostro lettore il quale, dopo un’attesa di oltre due anni, ha manifestato vivacemente il suo comprensibile disappunto, pronunciando però un giudizio meno comprensibile di questo tenore: «Sono passati oltre due anni (…) ma non ho ottenuto risposta… Evidentemente per ottenere una risposta non è sufficiente porre una domanda, ma forse bisogna anche firmarsi con qualche titolo importante. Percepisco che non siete più una chiesa per il popolo, ma per le persone molto importanti, oggi dette Vip. Con molta probabilità, a una loro missiva il prof. Ricca avrebbe risposto celermente. A me invece, miserrimo evangelico modalista, non ha risposto affatto. Devo riconoscere che soltanto i pastori delle chiese carismatiche (…) si prendono ancora cura della gente qualsiasi… Da quando per i pastori cristiani ci sono e impegni che contano di più delle piccole anime in ricerca e della ricerca delle piccole anime?».
Vorrei anzitutto rassicurare il nostro lettore dicendogli che la mia mancata risposta è stata del tutto involontaria, dovuta semplicemente al fatto banalissimo che la sua lettera non è mai giunta sul mio tavolo, per un motivo che ignoro: probabilmente per una mia disattenzione, della quale, come ho detto, mi scuso. Vorrei dirgli, in secondo luogo, che non conosco personalmente quasi nessuno di coloro che scrivono a questa rubrica, quindi non so se siano Vip oppure no, a parte il fatto che la cosa non mi interessa affatto. Anzi, mettiamola così: per me tutti quelli che scrivono alla rubrica, per il fatto stesso che scrivono, sono Vip. Ma c’è di più: quello che conta in questi nostri «Dialoghi» non sono le persone, ma le domande. Non però nel senso che una domanda ha più valore di un’altra. Certo, una domanda può essere più interessante di altre in quanto solleva un problema che un maggior numero di persone sente come suo. Ma tutte le domande, secondo me, hanno valore, purché non siano domande retoriche, cioè domande che, in fondo, non chiedono nulla. E siccome tutte hanno valore, meritano tutte di essere prese sul serio e quindi di ricevere una risposta. Infine, un’ultima precisazione: l’ordine con cui rispondo alle lettere è quello del loro arrivo. Eccezionalmente, per svariati motivi del tutto indipendenti dalle persone, posso aver anticipato o posticipato una risposta. Ma la regola che ho sempre seguito è questa: rispondo prima alla lettera che è arrivata prima. Se rispondo solo ora – ahimè – a una lettera di due anni e mezzo fa (è la prima volta, in tanti anni, che mi capita) è perché, come ho detto, essa è giunta sul mio tavolo solo il 24 luglio 2012.
Ma veniamo al problema posto dal nostro lettore, che è assolutamente centrale per la fede e la teologia cristiana. Il tema – inutile dirlo – è quanto mai delicato e complesso, perché si tratta di investigare la natura profonda di Dio, potremmo dire la sua vita intima, e sappiamo che «nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio» (I Corinzi 2, 11). Perciò lo invochiamo chiedendogli di guidarci nella conoscenza, almeno «in parte» (I Corinzi 13, 9), di quel mistero di luce che è Dio. La fede infatti è conoscenza, non ignoranza, e Dio non vuol restare per sempre una sfinge, ma vuol essere conosciuto (perché solo così lo si può amare), e per questo si è rivelato attraverso profeti, apostoli e altri testimoni, e soprattutto attraverso Gesù di Nazareth. Per maggiore chiarezza, suddividerò, come al solito, la risposta in alcuni punti.
1. Il primo riguarda le considerazioni finali del nostro lettore, nelle quali egli sembra attribuire alla Chiesa valdese nel suo insieme le opinioni mie e di Giorgio Tourn sull’opportunità oggi, quando si parla di Trinità, di sostituire il termine tradizionale «persona» (le «tre persone» della Trinità) con l’espressione «modi di essere». Queste sono nostre opinioni personali (che peraltro, come vedremo, si rifanno al maggiore teologo riformato, anzi cristiano, del novecento: Karl Barth), sono soltanto nostre (e forse di qualcun altro), ma non possono in alcun modo essere estese a tutta la Chiesa valdese che, per quanto ne so, su questa materia non si è più pronunciata dal lontano 1655, quando adottò la formula trinitaria classica nella sua Confessione di fede tuttora in vigore, che nel suo articolo 1°, cui accenna il nostro lettore, suona così: «Noi crediamo che c’è un Dio solo, che è un’essenza spirituale, eterna, infinita, del tutto saggia, del tutto misericordiosa e del tutto giusta, in una parola del tutto perfetta; e che vi sono tre Persone in quella sola e semplice essenza, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo». Nel 1894 il Sinodo, sotto l’influenza della teologia liberale, votò un «Atto dichiarativo» nel quale precisò il significato che esso attribuiva ad alcuni articoli della Confessione di fede, ma non menzionò quello sul Dio trinitario, che quindi è oggi quello che era nel 1655. Può naturalmente darsi che se il Sinodo valdese giudicasse necessario ripensare ed eventualmente riformulare oggi la dottrina trinitaria, non si limiterebbe a ripetere le formule del concilio e di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). Nulla però indica che il Sinodo o la Chiesa avvertano oggi questa necessità. Non c’è dunque ombra di modalismo nella posizione ufficiale della Chiesa valdese in merito alla Trinità. Perciò non credo che il nostro lettore, in una eventuale sua consacrazione futura al ministero pastorale in questa Chiesa, potrebbe sostituire l’espressione «tre persone» con «tre modi di essere», a meno che il Sinodo non abbia in precedenza accettato la nuova formula.
2. È probabile che qualche lettore desideri sapere qualcosa di più sul modalismo. È un modo di interpretare (non di negare) la Trinità: come dottrina fu elaborata, con qualche variante, da alcuni teologi del II e III secolo (uno fu Sabellio, che operò a Roma nel III secolo, dove fu scomunicato), e consiste, in sostanza, nel ritenere che l’unico Dio si rivela in diverse «forme» e tempi diversi: anzitutto come creatore e legislatore (il «Padre»), in un secondo tempo come salvatore (il «Figlio»), infine come colui che santifica e dona la vita eterna (lo «Spirito Santo»). «Fra le tre entità in questione non esiste alcuna differenza, salvo la forma di apparizione e la collocazione cronologica»1. È esattamente ciò che dice il nostro lettore: «Questo è il Modalismo: una sola Persona divina manifestatasi in tre modi distinti». Ma che differenza c’è tra questa visione della Trinità e quella – poniamo – di Karl Barth (che ho fatto mia e ho cercato di illustrare nel «Dialogo» del 26 febbraio 2010) ? La differenza è questa: che per il nostro lettore Padre, Figlio e Spirito Santo sono tre modi di apparire, cioè tre manifestazioni, dell’unico Dio, mentre per Barth (e per quanti, come il sottoscritto, si sono formati alla sua scuola) sono tre modi di essere (non solo di apparire!) dell’unico Dio, cioè tre diversi modi in cui Dio è Dio. «Dio è perfettamente uno in se stesso, come lo è nei confronti del mondo e dell’uomo. Ma come tale è Dio tre volte differentemente, in modo che è solo in questa triplice alterità che è Dio…»2. Padre, Figlio e Spirito Santo non sono solo «forme», apparizioni, manifestazioni, sono i diversi modi in cui Dio è se stesso.
3. Può darsi che, a questo punto, qualche lettore pensi: «Tutto ciò è molto complicato, e non so se queste sottili distinzioni siano davvero utili». È vero che la dottrina trinitaria è complicata, ma è anche quella che qualifica in modo inconfondibile la comprensione cristiana di Dio. Perciò credo che valga la pena cercare di capirla. Non è detto che ci riusciamo, ma è bene provarci. Spero a esempio che sia diventata chiara la differenza che c’è tra la visione modalista della Trinità, secondo cui Dio appare come Padre, Figlio e Spirito Santo, la visione ortodossa (chiamiamola così) secondo cui Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. «Apparire» ed «essere» sono cose ben diverse. Giustamente il nostro lettore richiama la parola «ipòstasi» (in greco ipòstasis), che l’Oriente cristiano adottò al posto della parola «persona» (in greco pròsopon = «faccia», «volto»; «maschera teatrale»), preferita dall’Occidente. Ipòstasi significa «realtà», «entità dotata di esistenza sostanziale», ed è proprio questo che il Credo niceno-costantinopolitano vuole affermare: Padre, Figlio e Spirito Santo non sono semplici «forme», come sostiene il Modalismo, ma, appunto, «realtà», modi nei quali Dio è Dio, come dice Barth. Non sono, come potrebbe sembrare, sottigliezze di scuola. Sono tentativi di capire in profondità il rapporto tra Dio e la sua rivelazione.
4. Detto tutto questo, resta il fatto che le dottrine su Dio, anche le più profonde, non sono Dio. Dio non è dottrina, ma amore. Questa è la verità prima e ultima su di lui.
1 Alister E. McGrath, Teologia cristiana, Claudiana, Torino 1999, p. 302.
2 Karl Barth, Dogmatique, vol. 2 della versione francese, Labor et Fides, Ginevra 1953, p. 63.


tratto dal settimanale Riforma, 21 settembre 2012 - Anno XX - numero 36, p.11
www.riforma.it



DIALOGHI CON PAOLO RICCA


Si può essere cristiani senza credere nella Trinità?

Come credente intendo essere una persona in ricerca, non però conformandosi ai dati acquisiti, che spesso hanno il sostegno dei dogmi, ma non quello delle indagini storico-esegetiche. Uno dei quesiti, tra i tanti, che desidero sollevare è quello relativo alla Trinità. Fonti mi dicono che la Chiesa valdese, nella sua confessione di fede del 1655, ha dato il proprio pieno assenso alla formula trinitaria, mentre in precedenza apparteneva alle Chiese Unitariane. Ora, nel Nuovo Testamento ci sono – è vero – formule trinitarie con la menzione esplicita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ma non vi si legge una sola parola a favore dell’unità delle tre «persone» menzionate: manca insomma l’affermazione che queste tre «persone» costituiscono un’unità. E nessuno finora è riuscito a spiegarmi questa figura di tre in uno o uno in tre. La mia domanda è questa: può essere cristiano a pieno titolo chi non abbraccia la confessione di fede trinitaria? Non è forse vero che nel primo periodo del cristianesimo questo problema non sussisteva?
Giovanni Verbena – Torino


Il problema sussisteva, eccome! È esistito fin dagli albori del cristianesimo. Il problema era: come accordare la divinità di Gesù, creduta e confessata dai cristiani, con la divinità dell’unico Dio della fede ebraica? E come accordare la divinità di Gesù e del Padre con l’esperienza dello Spirito a Pentecoste, vissuta in tutto e per tutto come un’autentica esperienza di Dio? Per dipanare questo problema ci sono voluti più di tre secoli di discussioni accese e scontri teologici anche violenti, fino a che, nel concilio di Nicea del 325 fu stabilito come dogma, cioè come articolo di fede, la dottrina di Dio uno e trino insieme, nei termini seguenti: «Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. Ed in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre… E [crediamo] nello Spirito Santo…». Il concilio di Costantinopoli del 381 fece alcune aggiunte; la più importante riguarda l’articolo sullo Spirito Santo, che ora suona così: «[Crediamo] nello Spirito Santo, che è Signore e dà vita, che procede dal Padre, e insieme al Padre e al Figlio dev’essere adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti». Il dogma trinitario venne imposto a tutta la cristianità come legge statale dall’imperatore Teodosio con un editto del 28 febbraio 380, nel quale si dichiara che «secondo la disciplina apostolica e la dottrina evangelica noi crediamo un’unica Divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in uguale maestà e pia trinità». Coloro che non credono nel Dio trinitario sono giudicati nell’editto stesso «dementi e pazzi», porteranno l’infamia dell’ «eresia», i loro locali di culto «non potranno chiamarsi chiese» e su di loro cadrà non solo la «vendetta divina», ma anche la «punizione» dell’imperatore. Così, da quell’anno, non credere nella Trinità divenne non solo una posizione eterodossa, ma un crimine politico di prima grandezza, punito con la pena di morte. Negare la Trinità equivaleva a negare proprio il Dio cristiano, la cui tipica fisionomia trinitaria lo differenziava nettamente dal monoteismo ebraico e, a partire dal VII secolo, da quello musulmano.

Nella chiesa antica e in quella medievale il dogma trinitario non sembra essere stato messo seriamente in discussione, tranne che da alcuni mistici presso i quali la Trinità resta in ombra, pur senza essere negata. Lo fu invece apertamente nel Cinquecento da una folta schiera di «antitrinitari» (un nome per tutti: Michele Serveto, bruciato a Ginevra nel 1553); molti erano italiani, e tra questi i senesi Lelio e Fausto Socini (o Sozzini) che, in Polonia, diedero vita a una vera e propria Chiesa Unitariana, ma, dopo una fioritura durata alcuni decenni, dovettero soccombere al potere dei gesuiti, che nel 1658 ne ottennero l’espulsione. Benché perseguitato, il «socinianesimo» si diffuse, come diaspora, in vari paesi d’Europa e negli Stati Uniti, dove esiste tuttora una Chiesa Unitariana, che nel 1961 s’è unita alla «Chiesa Universalista d’America» dando vita a una «Associazione Unitaria Universalista» che conta circa 200.000 membri. Il nostro lettore sostiene che certe fonti attesterebbero che anche i valdesi sarebbero stati, all’origine «unitari». A me questo non risulta. La «Professione di fede» di Valdo, per quanto può valere, è trinitaria.

Ma veniamo ai quesiti che il nostro lettore pone. Sono tre: il primo è se la dottrina trinitaria sia biblica oppure no; il secondo è se sia o non sia possibile essere cristiani senza credere nella Trinità; il terzo è se sia o non sia possibile spiegare in qualche modo questa dottrina.

1. È un fatto che la dottrina della Trinità non si ritrova tale e quale nella Sacra Scrittura. La parola «trinità» nella Bibbia non c’è. Il primo teologo cristiano che l’ha adoperata, anzi – a quanto pare – creata è Tertulliano (ca. 155 – ca. 225). Ma soprattutto, la categoria-chiave della dottrina trinitaria, cioè «sostanza» (il Figlio e lo Spirito sono dichiarati «della stessa sostanza» del Padre), non è una categoria biblica. Quanto all’altra categoria ricorrente quando si parla di Trinità, e cioè «persona» («un Dio in tre persone»), è fuorviante perché ha oggi un significato ben diverso da quello che aveva nel IV secolo. Allora significava la maschera che l’attore portava sul volto per interpretare un personaggio. Oggi invece significa un individuo, un soggetto unico e irriducibile ad altro. Perciò, dire oggi «un Dio in tre persone» fa pensare a tre divinità, una accanto all’altra, introducendo così una forma larvata di politeismo. Questa infatti fu una delle accuse rivolte al cristianesimo da illustri pensatori pagani: di avere, con la dottrina trinitaria, fatto rientrare dalla finestra quel politeismo che aveva cacciato dalla porta. Perciò la teologia tende oggi, a proposito di Trinità, a sostituire il termine «persona» con «modi di essere». Concludo dicendo che il linguaggio tradizionale della dottrina trinitaria lascia effettivamente a desiderare e dovrebbe essere ripensato; il suo contenuto però è assolutamente conforme al messaggio cristiano. La dottrina trinitaria è biblica nella sostanza, se non nella forma, anzi è il modo migliore, a mio giudizio, di rendere conto e confessare il Dio della rivelazione ebraico-cristiana nella sua inconfondibile originalità.

2. Al secondo quesito – se sia o non sia possibile essere cristiani se non si crede nella Trinità – risponderei tendenzialmente di no. Non vorrei però ridurre l’essere o il non essere cristiano all’accettazione o meno di una dottrina, sia pure centrale come quella trinitaria. Perciò sospendo la risposta e al nostro lettore, che – così almeno sembra – non crede nel Dio trinitario, chiedo in quale Dio crede, quale Dio confessa. «Nessuno ha mai visto Dio –dice l’evangelista Giovanni –; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è quello che lo ha fatto conoscere» (1, 18). È fondamentale che il Dio creduto e confessato dai cristiani sia quello rivelato da Gesù, e non un altro. Essere cristiani significa credere alla testimonianza di Gesù su Dio: chiamando Dio suo «Padre», si è rivelato come Figlio e come tale, al battesimo, ha ricevuto lo Spirito, che si è «fermato» su di lui (Giovanni 1, 32): il battesimo di Gesù, come ce lo descrivono gli evangeli, è stato un evento trinitario. È stato proprio Gesù a svelare con molta naturalezza, cioè senza forzature e senza minimamente rinnegare il suo monoteismo ebraico, la natura trinitaria di Dio, che non traspare solo dalle pagine del Nuovo Testamento, ma anche da quelle dell’Antico. Il Dio d’Israele, in tanti passi, è, per così dire, affiancato dall’«angelo dell’Eterno» (Esodo 3, 2!), che è il suo alter ego; in altri passi si parla addirittura di «un uomo» (Genesi 32, 24-32), che lotta con Giacobbe come controfigura di Dio, anzi come Dio stesso (v. 28!). E nell’Antico Testamento ci sono dei passi sullo Spirito Santo altrettanto «pentecostali» quanto quelli del Nuovo. Il monoteismo biblico è, per così dire, popolato da molte presenze e per quanto mi riguarda non conosco una dottrina di Dio più bella, più profonda, più accattivante e convincente della dottrina trinitaria. Ma essere cristiani, cioè credere in Gesù, significa anche, come lui, fare la volontà di Dio. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matteo 7, 21). I cristiani si riconoscono dai frutti più che dalle dottrine. Non saremo giudicati sulla base delle dottrine, ma su quella della fede e delle opere. Concludo dicendo che la fede cristiana è trinitaria, ma che, come insegna Matteo (25, 31-46), si può fare la volontà di Dio anche senza credere nella Trinità.

3. È possibile, o no, spiegare questa dottrina, che nessuno ha mai spiegato al nostre lettore? Spiegare forse no, ma illustrare forse sì. Ci provo. Ciascuno di noi è, al tempo stesso molte cose, pur essendo e restando una singola persona. A esempio, posso essere, al tempo stesso, figlio, padre e zio. Oppure piemontese, italiano ed europeo. O ancora credente (o non credente), cittadino (o immigrato), operaio (o contadino). E così via. Siamo, pur essendo uno, tante cose secondo le tante relazioni che compongono la trama della nostra vita. Ciascuno di noi è, al tempo stesso, uno e molteplice. Questo non compromette l’unità della persona, anzi l’arricchisce. Così Dio è uno e tre: Padre, Figlio e Spirito Santo, tre modi diversi di essere l’unico Dio. Non c’è separazione, né confusione, né contraddizione. C’è invece comunione. La dottrina trinitaria, in fin dei conti, vuol dire proprio questo: che Dio è comunione. E questa – mi sembra – è una buona notizia.




tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 26 febbraio 2010

giovedì 10 gennaio 2013

giovedì 3 gennaio 2013

Dialogo Interreligioso a Saint-Pierre


a SAINT-PIERRE
venerdì 4 gennaio 2013 
ore 20.30
Salone Consiliare



L'AMMINISTRAZIONE COMUNALE 
DI 
SAINT-PIERRE
organizza un incontro dal TEMA

“ COSTRUIAMO INSIEME IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI E DEI POPOLI, 
CON L’IMPEGNO DELLE DIVERSE REALTÀ

 RELIGIOSE PRESENTI  SUL TERRITORIO VALDOSTANO “





RELATORI

Per la Chiesa Evangelica Avventista del Settimo Giorno:
Iulian SAVA

Per la Comunità Bahà’ì della Valle d’Aosta:
        Maria Pia MACRÌ


Per la Chiesa Cattolico-romana Diocesi di Aosta:
           Aurelia GLAVINAZ

Per la Chiesa Ortodossa Romena:                   
                            Alin-Mihail NEAGU

Per la Chiesa della Scienza Cristiana:
                                              Romana FIOU

Per la Chiesa Evangelica Valdese:      
                            Leo Sandro DI TOMMASO