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domenica 28 ottobre 2012

Aosta e Courmayeur Culti Evangelici - novembre e dicembre 2012




AOSTA
tempio valdese
Via Croix de Ville, 11.
Culto Evangelico di Adorazione e Lode
Domenica 
ore 10.30
ingresso libero
Novembre 2012

Domenica 4      a cura di Pieter M. BOUMAN

Domenica 11   a cura di Leo Sandro Di TOMMASO

Domenica 18   a cura di Maurizio ABBÀ  *
Cena del SIGNORE

Domenica 25  a cura di  Maurizio ABBÀ





COURMAYEUR
tempio valdese
Piazza Petigax, 1
Culto Evangelico di Adorazione e Lode
Sabato 24 novembre 2012
ore 11.15
ingresso libero 

predicazione a cura di Maurizio ABBÀ








Noi siamo il tempio del Dio vivente (II Corinzi 6,16)




AOSTA
tempio valdese
Via Croix de Ville, 11.
Culto Evangelico di Adorazione e Lode
Domenica 
ore 10.30
ingresso libero

Dicembre 2012



Domenica  2 dicembre  predicazione a cura di    Paolo RICCA    I nell'AVVENTO

Domenica  9 dicembre  predicazione a cura di    Paolo RIBET  II nell'AVVENTO

Domenica 16 dicembre  predicazione a cura di   Leo Sandro Di TOMMASO III nell'AVVENTO *
Cena del SIGNORE 

Domenica  23 dicembre  predicazione a cura di   Maurizio ABBÀ      IV nell'AVVENTO

martedì  25 dicembre  predicazione a cura di     Maurizio ABBÀ      NATALE  *
Cena del SIGNORE


Domenica  30 dicembre  predicazione a cura di    Maurizio ABBÀ








COURMAYEUR
tempio valdese
Piazza Petigax, 1
Culto Evangelico di Adorazione e Lode

Sabato 22 dicembre 2012
ore 11.15
ingresso libero 

predicazione a cura di Maurizio ABBÀ






Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta, e la gloria del Signore è spuntata sopra di te!
(Isaia 60,1)





lunedì 22 ottobre 2012

All'origine della fede cristiana

DIALOGHI CON PAOLO RICCA
 
Che cosa ci salva: la morte di Gesù o la sua vita e la sua Parola?
Sono da alcuni anni abbonato a Riforma che seguo con curiosità. Sul numero del 7 novembre ho letto l’articolo di Paolo Ricca sulla morte di Gesù, che mi ha lasciato molto perplesso, anche se non ho una competenza specifica in campo teologico per controbattere le sue tesi. È però successo che la sera ci siamo incontrati come piccolo gruppo di credenti impegnati da anni nella lettura biblica e, per puro caso, il nostro caro Beppe Costa aveva preparato una relazione sul libro di André Gounelle intitolato Parlare di Cristo, Claudiana 2008. Gounelle è uno studioso protestante che dice cose molto diverse da Paolo Ricca su temi quali «la croce», «la salvezza malgrado la croce», «la risurrezione». Mi piacerebbe leggere una recensione da parte del prof. Ricca del libro di Gounelle e non mi dispiacerebbe se su Riforma si aprisse un confronto su questi temi.
Gigi Ferraro – Saluzzo


La cosa non dispiacerebbe neppure a me, perché si tratta di questioni cruciali della fede e della vita cristiana. Sollecitato dal nostro lettore ho letto attentamente le pagine che il prof. André Gounelle dedica alla croce di Gesù e all’interpretazione della sua morte nel libro intitolato Parlare di Cristo, capitolo 4, pp. 51-67. Ho tra l’altro il piacere di conoscere personalmente il prof. Gounelle: è un pastore della Chiesa riformata di Francia che ha insegnato a lungo alla Facoltà teologica protestante di Montpellier. Sulla morte di Gesù dice cose non solo «molto diverse», ma addirittura opposte a quelle che ho scritto sul n. di Riforma del 7 novembre scorso. Ora il nostro lettore mi chiede «una recensione» del libro di Gounelle. Non la posso fare in questa rubrica che ha altra finalità, ma dirò quello che penso delle tesi di Gounelle sulla morte di Gesù, invitando peraltro i lettori a leggere personalmente il suo libro, che merita ogni attenzione anche se non sempre suscita adesione. Del resto l’Autore stesso non la pretende, tanto che scrive nella Prefazione: «In questo libro espongo il mio modo di comprendere e di vivere Cristo, senza pretendere che sia l’unico possibile, e nemmeno il migliore» (p. 6). Suddivido questa risposta in due parti: nella prima dirò quello che condivido del discorso di Gounelle, nella seconda quello che non condivido.


I. Nel discorso di Gounelle ci sono molte cose buone, vere e utili, che volentieri condivido. In particolare due. 
[a] La prima è che effettivamente la centralità attribuita (soprattutto dall’apostolo Paolo) alla morte (e risurrezione) di Gesù può avere un po’ eclissato nella fede dei cristiani il valore della sua vita, delle sue opere e del suo insegnamento, come se fossero un’appendice secondaria e tutto sommato non essenziale dell’Evangelo. Infatti sia il Credo (detto) apostolico, sia il Niceno-Costantinopolitano (cioè le due principali confessioni di fede della Chiesa antica, che vengono ripetute da quasi due millenni in quasi tutta la cristianità) passano direttamente dalla nascita di Gesù alla Passione («…nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato…»), senza spendere una sola parola sulle sue «opere potenti» ( i miracoli) e il suo insegnamento. Questa omissione è grave e del tutto ingiustificata, anche se, probabilmente, il verbo «patì» non va riferito solo agli eventi finali del suo ministero (arresto, processo, condanna a morte, crocifissione), ma a tutta la sua vita, che in un senso s’è svolta fin dall’inizio nel segno del rifiuto e quindi implicitamente della croce (Luca 4, 28-29!). Resta però il fatto che la vita di Gesù, che occupa un posto così rilevante nella narrazione evangelica, doveva essere esplicitamente menzionata in quei due Credo, che hanno espresso e anche modellato la fede cristiana nei secoli. Gesù ci salva anche con la sua vita (e non solo con la sua morte). Secondo Gounelle ci salva solo con la sua vita. Secondo me ci salva anche con la sua vita.


[b] C’è un secondo punto di vista di Gounelle che condivido, ed è questo: egli sottopone a una critica serrata le spiegazioni che la teologia cristiana ha dato nel corso dei secoli della morte «espiatrice» di Cristo, soffermandosi in particolare su quella di Anselmo di Aosta (1033-1109) nel suo trattato Cur Deus homo? ( = Perché Dio s’è fatto uomo?). Gounelle espone in sintesi la spiegazione di Anselmo, che poi definisce «illogica e mostruosa» (p. 57) perché alla sua base c’è «un’orribile visione di Dio, che viene presentato come un barbaro assetato di sangue» (p. 58), che per di più non esita a sacrificare un innocente (Gesù) per i colpevoli (noi), il che è una «scandalosa iniquità» (p. 57). Questo giudizio (troppo severo secondo me) sulla spiegazione di Anselmo ha il merito di metterci in guardia dal tentativo di spiegare la croce, che, accanto ad aspetti perfettamente comprensibili, ne ha anche altri che confondono i nostri pensieri (quanto meno i miei). Il Nuovo Testamento afferma dalla prima all’ultima pagina che Gesù è «morto per noi», ma non si abbandona a tante spiegazioni. Il fatto è più importante delle spiegazioni. La croce non è tanto da spiegare quanto da meditare e contemplare.

II. Che cosa non condivido del discorso di Gounelle? Principalmente quattro punti.

[1] Il primo è la sua tesi di fondo, che Dio ci salva non per mezzo della croce, ma malgrado la croce. Ritengo invece che Gesù sia il nostro Salvatore sia con la sua vita e risurrezione, sia con la sua morte. Direi prima con la sua morte e poi con la sua vita. Nella sua morte muore la nostra vecchia umanità, nella sua vita appare la nuova.


[2] Il secondo punto di Gounelle che non condivido è il suo rifiuto categorico della nozione di espiazione. Si può naturalmente discutere se questo termine sia il più appropriato, ma l’idea che esso vuole esprimere, e cioè dare la propria vita per gli altri (nel caso di Gesù «per gli empi» Romani 5, 6), è centrale, credo, nell’autocoscienza di Gesù, e costitutiva dell’Evangelo. Si può utilizzare la nozione di «espiazione» purché la si liberi dall’idea di un Dio vendicativo che esige riparazione, o da quella di un debito metafisico da pagare (a chi?), e la si riconduca al suo reale significato evangelico, che è questo: il giudice (Dio) prende in Gesù il posto del colpevole (noi) e lo libera dalla colpa e dalla pena. La giustizia di Dio non è quella che Dio chiede, ma quella che Dio dà. Ci si può naturalmente chiedere: ma l’amore di Dio non poteva perdonare il nostro peccato senza passare per la croce? Teoricamente sì. Concretamente no. Perché l’amore, quand’è concreto (e l’amore di Dio è il più concreto di tutti), significa dono di sé senza riserve. «Nessuno ha amore più grande che dare la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando» dice Gesù ai discepoli (Giovanni 15, 13-14). «Espiazione» allora significa per Gesù: dare la propria vita per noi che l’avevamo perduta.

[3] In terzo luogo non condivido di Gounelle l’idea secondo la quale i numerosi passi del Nuovo Testamento che parlano di Gesù come vittima espiatoria «per i nostri peccati» non devono essere presi alla lettera, ma considerate «parabole, metafore, immagini» legate a epoche passate, ma inutilizzabili oggi. «Quando si trasforma ciò che è metafora in sistema teologico, allora si cade nell’assurdo» (p. 62) e si travisa il senso dei testi. Non credo che le cose stiano così. Come la croce non è segno o simbolo o metafora, ma realtà e verità, così non lo è «la parola della croce» (I Corinzi 1, 18). Certo, tutto va interpretato, ma interpretare non vuol dire necessariamente ridurre a metafora. L’idea del «prezzo», a esempio («siete stati comprati a caro prezzo» I Corinzi 6, 20), esprime semplicemente il fatto che a Dio costa veramente (e non metaforicamente o simbolicamente) caro amare l’uomo. Così, l’idea del riscatto esprime il fatto che c’è veramente (e non metaforicamente o simbolicamente) una condizione di asservimento dell’uomo, dalla quale dev’essere liberato. Sovente nella Bibbia ci imbattiamo in parabole e metafore, ma non credo che «la predicazione della croce» (I Corinzi 1, 18) lo sia.

[4] C’è infine il nodo, al quale ho già accennato, dell’autocoscienza di Gesù. Secondo Gounelle, «Dio non ha voluto e nemmeno previsto la morte di Gesù, che non entrava in alcun modo nei suoi disegni» (p. 59). Perciò Gesù, il cui «cibo» era fare la volontà del Padre (Giovanni 4, 34), non ha neppure lui voluto la sua morte, l’ha subita, senza attribuirle altro valore che l’alto prezzo da pagare per restare fedele al suo mandato (Gesù «non sceglie di morire, sceglie di continuare a ogni costo il suo ministero» p. 62). Semmai l’ha considerata come antidoto a ogni possibile tentazione idolatrica nei suoi confronti: «Gesù muore sulla croce per non essere scambiato per Dio e per non diventare un idolo» (p. 67). Ora qui c’è, come dicevo, il nodo fondamentale dell’autocoscienza di Gesù, della quale dò una versione diversa da quella di Gounelle. Credo infatti che nel corso del suo ministero (non necessariamente fin dall’inizio) Gesù si sia progressivamente identificato con la figura del Servo dell’Eterno di Isaia 53, ne abbia percorso il cammino e condiviso il destino. Va da sé che in questo quadro la sua passione e la sua morte acquistano un significato unico che, altrimenti, non possono avere. Non è morto solo per una sentenza iniqua, o per un banale errore giudiziario, cioè per la superficialità o la malvagità umana, quindi per causa nostra, ma è morto per noi, cioè a favore nostro, come il Servo dell’Eterno: «erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato» (53, 4). Credo che sia questo il significato attribuito da Gesù alla sua morte, ed è questo significato che ha dato origine alla fede cristiana.


tratto dalla rubrica:
Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 21 novembre 2008




DIALOGHI CON PAOLO RICCA
 
Perché è morto Gesù? Proprio per i nostri peccati?

Citare un testo fuori dal suo contesto è spesso fuorviante. Tuttavia chiederei un’opinione sul brano (che per brevità trascrivo a spezzoni) di un libro che non indico con titolo e autore per non condizionare chi legge. Ecco il brano: «Le chiese, le liturgie e molti teologi sono ancora influenzati dall’idea che la morte di Gesù funga da espiazione per i peccati dell’umanità. I teologi più critici fanno notare da tempo che l’idea di espiazione è solo un’interpretazione successiva legata al Nuovo Testamento da fili molto sottili, che non dovrebbe essere in alcun modo elevata a norma […]. In questo caso potrebbe essere utile una teologia dell’amicizia […], interpretazione alternativa della morte di Gesù, considerandola un segno di devozione verso i suoi amici. Di conseguenza, Gesù non è morto per i nostri peccati, ma piuttosto per i suoi amici […]. Questo tipo di teologia dell’amicizia riprende la teologia della croce senza accantonarla e la interpreta alla luce dell’esperienza esistenziale […]. Invece della teologia dell’espiazione, che è un peso ed è così difficile per molti, la vita e la morte di Gesù possono essere comprese in modo nuovo, nella prospettiva dell’azione dell’amicizia e dell’amore degli amici».
Renzo Turinetto - Torino

Ringrazio il nostro lettore per questa lettera che ha il merito non piccolo di porre la questione centrale della fede cristiana: il significato della morte di Gesù. È lì infatti che tutto si gioca. Molti altri punti del cristianesimo sono comuni ad altre religioni. A esempio: non c’è bisogno di essere cristiani per credere in Dio creatore, e onorarlo e ringraziarlo come sue creature. Non c’è bisogno di essere cristiani per affermare l’esistenza e la bontà di una Legge di Dio, che possiamo e dobbiamo osservare se non vogliamo sciupare la nostra esistenza. Non c’è bisogno di essere cristiani per essere convinti che l’amore è la cosa più importante della vita e forse il vero mistero del mondo. Non c’è bisogno di essere cristiani per ritenere che la morte non è l’ultima parola sulla nostra vita, che non veniamo dal Nulla ma da Dio, e che, dopo questa vita, non precipitiamo nel Nulla, ma siamo accolti in Dio. Insomma: non c’è bisogno di essere cristiani per essere credenti. C’è invece bisogno di essere cristiani per credere che la morte di Gesù è la salvezza del mondo perché è la riconciliazione tra il mondo e Dio, e questa riconciliazione è fondata sul perdono, e il perdono è avvenuto nella morte di Gesù. Non è un caso che la prima, vera, confessione di fede cristiana sia stata pronunciata da un centurione romano (un pagano!) ai piedi della croce (Marco 15, 39). O si diventa cristiani lì, ai piedi della croce, o non si diventa cristiani.
Il nostro lettore ci porta dunque nel cuore della fede cristiana, trasformando in domanda quella che, nel testo da lui citato, è un’affermazione. La domanda è questa: «Gesù è morto per i nostri peccati o non piuttosto per i suoi amici?». Chiediamoci: che cosa c’è dietro questa alternativa? Morire per i propri amici è qualcosa di diverso dal morire per i nostri peccati? Perché si vuole dare questa nuova interpretazione della morte di Gesù? Ma è poi davvero così nuova? O non è semplicemente un modo nuovo di dire quello che la teologia cristiana ha (quasi) sempre detto riguardo alla morte di Gesù? In altri termini: la novità di questa «teologia dell’amicizia» è reale o apparente? Tante domande, alle quali per sommi capi cercherò di rispondere.

1. Dietro l’interpretazione della morte di Gesù come «morte per i suoi amici» c’è una specie di allergia, anzi un vero e proprio rifiuto dell’idea che Gesù sia morto per espiare i nostri peccati. L’idea di espiazione appare come «un peso, così difficile per molti». Perché? Perché si pensa che alla sua base ci sia una concezione primitiva, per non dire barbara, di Dio, che applicando alla lettera la dura parola biblica: «il salario del peccato è la morte» (Romani 6, 23), dovrebbe far morire l’uomo peccatore (chi non lo è?). Dio però non vuole la morte del peccatore, ma che egli si converta e viva (Ezechiele 18, 31-32), perciò gli fa grazia, ma non semplicemente rimettendogli il debito e cancellando il suo peccato, ma facendo morire Gesù, che non aveva commesso peccato, quindi era innocente, al posto dell’uomo peccatore. Come dice l’apostolo Paolo: «Colui che non ha conosciuto peccato, Dio l’ha fatto essere peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio in lui» (II Corinzi 5, 21). Proprio in un versetto come questo alcuni critici moderni del cristianesimo ravvisano una doppia barbarie: la prima è esigere a tutti i costi la morte del peccatore (non dovrebbero i cristiani essere contrari alla pena di morte?!); la seconda è che un innocente (Gesù) muoia per i colpevoli (noi).

2. Ma che cos’è, propriamente, questa teologia dell’espiazione? È una visione del rapporto tra l’uomo e Dio che percorre tutta la Bibbia. Nell’Antico Testamento c’è tutto il regime dei sacrifici che in larga misura sono sacrifici di espiazione dei peccati. C’è soprattutto la cerimonia annuale del «giorno delle espiazioni» (yòm hak-kippurìm), quando il Sommo Sacerdote entrava nel Santissimo e aspergeva con il sangue dell’animale sacrificato l’arca del Patto e poi il popolo, per l’espiazione dei suoi peccati (Levitico 23, 26-32; Numeri 29, 7-11). C’era anche il rito del capro, detto «capro espiatorio», che dopo essere stato simbolicamente caricato del peccato di Israele, era condotto nel deserto e consegnato a uno spirito maligno detto Azazel (Levitico 16, 20-22). Ma a un certo punto, nello stesso Antico Testamento, s’è fatta strada una visione completamente diversa: quella che troviamo nei canti del Servo dell’Eterno, specialmente nella descrizione di Isaia 53: «Egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su di lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione» (v. 5). Il messaggio è chiarissimo: su questo Servo «l’Eterno ha fatto cadere l’iniquità di noi tutti» (v. 6). Gesù ha ripreso questa linea, identificando se stesso come Servo, «venuto non per essere servito, ma per servire, e dare la sua vita come presso di riscatto per molti» (Marco 10, 45). Già Giovanni Battista, quando lo vide per la prima volta, lo salutò con queste parole: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1, 29) In che modo lo toglie? Con il dono della sua vita. Lo stesso discorso fa l’apostolo Paolo: «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» e ancora: «siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del suo Figlio» (Romani 5, 8.10), e così tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento, specialmente la Lettera agli Ebrei (capitoli 9 e 10!) e l’Apocalisse dove Gesù è presentato più volte come «l’Agnello che è stato immolato» (5, 12).
Insomma: il Nuovo Testamento è unanime nell’affermare che Gesù è morto per i nostri peccati. Questo significa che non siamo innocenti, anche se facciamo fatica a riconoscerci colpevoli: siamo tutti (o quasi) brave persone! Una delle caratteristiche del peccato è di travestirsi così bene da sembrare qualcosa di innocuo o addirittura di positivo, per cui sovente chi pecca è il primo a essere convinto di non peccare. Ma ci si può chiedere: il nostro peccato è davvero così grave da meritare la morte? Sì, lo è, ma noi non lo sappiamo più, perché abbiamo perso il senso della santità di Dio e della sua Legge. Di solito ci confrontiamo con gli altri, e allora ci tranquillizziamo facilmente. Ma se ci confrontiamo con i Dieci Comandamenti, o con il Sermone sul monte, e soprattutto con la vita di Gesù, è difficile non sentirci peccatori. E il peccato, prima ancora di meritare la morte, la produce. Non c’è bisogno di far morire il peccatore, lo fa morire il peccato stesso. Per questo l’apostolo Paolo dice: «voi eravate morti nei vostri peccati» (Efesini 2, 1). Il peccato è la morte anzitutto di chi lo compie – morte morale, spirituale e spesso anche materiale. Vediamo ogni giorno quali devastazioni di ogni genere esso produca nel mondo. Peccato e morte stanno uno nell’altra, sono inseparabili. Per questo Gesù è morto: perché ha preso su di sé il peccato del mondo, a cominciare dal nostro. È effettivamente morto per noi e al posto nostro. Proprio questo, e non altro, è l’Evangelo cristiano: lo è per chi ha il coraggio, l’onestà e l’umiltà di riconoscersi peccatore, mentre non lo è per 99 giusti che, sentendosi «amici» e non peccatori, non hanno bisogno di ravvedimento e quindi neppure della croce.

3. Gesù ha parlato (una volta sola) dei suoi discepoli come «amici» e ha elaborato – se vogliamo – una «teologia dell’amicizia» in nuce. «Nessuno – egli dice – ha amore più grande che dare la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando» (Giovanni 15, 13-14). Gesù chiama i suoi discepoli «amici» a una precisa condizione: «se fate le cose che io vi comando». Ma che cosa hanno fatto i discepoli? Tutto il contrario di quello che Gesù comandava: Giuda l’ha tradito, Pietro l’ha rinnegato, gli altri sono fuggiti abbandonandolo. Nessuno gli è stato veramente amico. Gesù, sì, è stato amico loro, ma loro non sono stati amici suoi. Questi che Gesù chiama «amici» (ha chiamato così anche Giuda: Matteo 26, 50!), sono in realtà tutti grandi peccatori. Perciò «dare la propria vita per i propri amici» equivale a «dare la vita per dei grandi peccatori»; e affermare che Gesù è morto «per i suoi amici» significa affermare che è morto «per i peccati dei suoi amici». Ma allora l’alternativa posta nei brani citati dal nostro lettore, alla luce del Nuovo Testamento è priva di consistenza. La verità è che noi tutti, senza eccezioni, «eravamo nemici» (Romani 5, 10), ma nella sua morte è morto il nostro peccato, cioè la nostra inimicizia, e dall’alto della croce egli ci chiama «amici». È dunque per la morte di Gesù che possiamo, per pura grazia, essere chiamati «amici», cioè peccatori perdonati.

tratto dalla rubrica: 
Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 7 novembre 2008
 


DIALOGHI CON PAOLO RICCA
 
Davvero Dio ama i sacrifici? Quali?

L’ebraismo e il cristianesimo, che da questo deriva, sono oggi ancora «scandalosamente» intrisi di violenza sacrificale: perché? Da anni sono stato indotto a interrogarmi sul perché il terrore dell’ira di qualche dio sembra sconvolgere e dilaniare le menti di molti «pazzi» di cui mi sono occupato, e perché una forza violenta e distruttiva inquieta terribilmente la coscienza di molti altri sofferenti (nevrotici, tossicomani), inducendoli a compiere gesti autopunitivi o rituali di tipo autosacrificale. Lo scorso autunno visitavo la Siria come turista; giunti a Palmira ci veniva mostrato il tempio di Baal dove troneggiano i resti di un grande altare sacrificale e dove fanno un certo effetto gli enormi canali di scolo destinati ad accogliere i torrenti di sangue prodotto dai grandi animali sgozzati in nome di quel dio. È noto l’episodio, anch’esso cruento, che racconta la vittoria di Elia sui profeti di Baal; ma quanto di Baal è transitato nell’ebraismo? Ma davvero Dio si compiace delle offerte sacrificali, dello scorrere del sangue di animali innocenti, scelti tra i più puri, come vuole la tradizione levitica sacerdotale? Ma davvero l’uomo, nella sua (commovente) disperazione, pensa di legare Dio a sé con il sacrificio di un capro espiatorio? Non si tratta di pericolosi fraintendimenti della volontà e misericordia divina nel tentativo di salvarsi dall’«ira» di Dio?
Enrico Pascal – Rivoli (Torino)

Sì, si tratta di pericolosi fraintendimenti della volontà e misericordia divina. Questi pericolosi fraintendimenti, che rivelano molto più la natura dell’uomo che quella di Dio, sono antichissimi, tanto quanto l’uomo stesso, e perciò profondamente radicati nel suo subconscio, prima ancora che nella sua coscienza. Il sacrificio è una delle forme originarie del culto, e quindi della religione: nell’antichità sicuramente la principale. Le sue origini sono molto complesse e sicuramente molteplici: possono essere fatte risalire a una pluralità di matrici. Ne indichiamo soltanto due, a titolo di esempio. Nella prima il sacrificio, anche cruento, è collegato alla fecondità della Natura da assicurare o rinnovare; nella seconda è collegato al culto di una divinità da onorare oppure ammansire. Mircea Eliade, nel suo Trattato di storia delle religioni, ricorda che «l’uomo “primitivo” vive nel timore incessante di vedere esaurite le forze utili che lo circondano. La paura che il sole si spenga definitivamente nel solstizio d’inverno, che la luna non sorga più, che la vegetazione scompaia, ecc., ecco il suo tormento per migliaia di anni». Il sacrificio, umano prima, animale poi, ha lo scopo di rigenerare periodicamente le forze sacre e vitali di cui l’uomo vive, scongiurandone così l’esaurimento: «il rituale [del sacrificio] rifà la Creazione».

La seconda matrice del sacrificio è il culto di una divinità a cui si riconosce un diritto di sovranità su tutto ciò che viene prodotto, ed ecco allora l’offerta delle primizie dei campi e delle greggi, oppure di cui si teme l’irritazione per i peccati di una persona o di un popolo, ed ecco allora i vari riti di espiazione, alcuni dei quali esigono il versamento del sangue. Non tutti, però. È interessante ricordare, a questo proposito, il singolare racconto di Levitico 16, con un doppio rito di espiazione compiuto con due diversi «capri espiatori»: il primo viene effettivamente sacrificato (16, 15), il secondo invece viene «caricato» delle iniquità di Israele attraverso una vera e propria imposizione delle mani del sommo sacerdote sul capo del capro e poi «mandato via nel deserto» (16, 21-22), cioè, si direbbe, rispedito al mittente, che è un misterioso personaggio di nome Azazel (16, 8) – probabilmente un dio o dèmone del deserto, oscuro ispiratore di tutti i peccati. È possibile che alla base dei due diversi riti ci fossero due diverse idee del sacrificio: il primo esige il sangue, il secondo no.
«Quanto di Baal è transitato nell’ebraismo?» si chiede il nostro lettore. È sicuramente transitata l’idea, diffusissima nell’antichità (e non del tutto scomparsa neppure oggi) che il sangue degli animali sacrificati, in quanto principio vitale, ha in sé il potere di espiare, lavare, purificare, santificare, svolgendo così un ruolo salvifico. Questa idea è entrata nella coscienza di fede ebraica, come attesta l’Antico Testamento, e vi è dimorata a lungo, prima e dopo l’esilio. Ma dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la conseguente fine del sacerdozio e quindi di tutto il regime dei sacrifici cruenti, questi ultimi sono completamente scomparsi dalla pratica religiosa di Israele, senza che la sua identità come popolo credente ne abbia minimamente risentito. Già questo dimostra che l’idea del sacrificio come atto violento o cruento compiuto su un animale non era e non è costitutiva della religione ebraica. L’ebraismo vive da duemila anni senza praticare alcuna «violenza sacrificale». Anzi semmai il popolo ebraico è diventato lui, in tante occasioni, «vittima sacrificale» di altri, cristiani compresi. Del resto, già i profeti e, più tardi, i saggi d’Israele avevano svuotato di significato e di valore il sistema dei sacrifici con giudizi inequivocabili: «il sangue dei giovenchi, degli agnelli e dei capri io non li gradisco» dice l’Eterno (Isaia 1, 11). «Io amo la pietà e non i sacrifici e la conoscenza di Dio anziché gli olocausti» (Osea 6, 6, citato da Gesù in Matteo 12, 7). «I vostri olocausti non mi sono graditi e i vostri sacrifici non mi piacciono» (Geremia 6, 20). «Praticare la giustizia e l’equità è cosa che l’Eterno preferisce ai sacrifici» (Proverbi 21, 3). Gesù era della stessa idea: dialogando con uno scriba avveduto che gli aveva detto che amare Dio e il prossimo «è assai più che tutti gli olocausti e i sacrifici», Gesù dichiara: «Tu non sei lontano dal regno di Dio» (Marco 12, 32-34).

Ma veniamo al cristianesimo. Rispetto all’ebraismo notiamo, su questo punto, rottura e continuità. Rottura in quanto il cristianesimo ha rivoluzionato l’idea tradizionale di sacrificio. Continuità in quanto il cristianesimo ha portato a compimento la critica profetica e sapienziale del sacrificio cruento, dando vita all’unico «sacrificio» gradito a Dio, già anticipato nell’Antico Testamento, e che consiste nella lode del suo Nome, nell’ubbidienza ai suoi comandamenti e nel servizio al prossimo. Consideriamo più da vicino questi due aspetti. 1) Al centro della fede cristiana c’è una croce, che non può essere né scavalcata né aggirata. Gesù stesso, identificandosi con il Servo sofferente di Dio di Isaia 53, ha interpretato la sua morte come «prezzo di riscatto per molti» (Marco 10, 45). Tutto il Nuovo Testamento, da Paolo a Giovanni, dal Libro degli Atti all’Apocalisse, è unanime nel vedere in Gesù «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Giovanni 1, 29), manifestato «per annullare il peccato con il suo sacrificio» (Ebrei 9, 26). In che senso il cristianesimo ha rivoluzionato l’idea di sacrificio? Nel senso che la «vittima sacrificale» non è più un animale, ma Dio stesso. La rivoluzione è questa, che il sacrificio non è più offerto a Dio per placare la sua ira, ma è offerto da Dio, cioè è Dio che offre se stesso per esprimere il suo amore. La rivoluzione è questa, che non è più il sangue che lava, purifica, e salva, ma è l’amore che, donandosi senza riserve, salva il mondo: «Nessuno ha amore più grande che dare la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici…» (Giovanni 15, 13). La rivoluzione è questa, che dopo la croce non c’è più sacrificio da offrire perché quello di Gesù è avvenuto «una volta per sempre» e dopo la sua «non c’è più luogo a offerta per il peccato» (Ebrei 10, 10.18): il sacrificio di Gesù non prolunga dunque il sistema dei sacrifici, ma lo abolisce inverandolo. Ci si può naturalmente chiedere: era necessario tutto questo ? Dio doveva davvero, per essere se stesso, cioè un «Dio che ama nella libertà» (Karl Barth), sacrificarsi e diventare vittima dell’uomo e, in questo senso, capro espiatorio (come sostiene René Girard, Il capro espiatorio, 1982)? Si può amare senza sacrificarsi? Il sacrificio non è forse il prezzo di un amore senza riserve? È possibile «amare tanto il mondo» (Giovanni 3, 16), ostile e cinico com’è, senza soffrire ed esserne respinto? È forse un errore amare chi non ti ama? Tanti interrogativi ai quali noi rispondiamo in un modo, Dio in un altro. Per rispondere come risponderebbe Dio dovremmo sapere bene che cosa significa, per Dio, amare e perdonare. Ma lo sappiamo? O non è forse vero che non c’è in cielo e sulla terra mistero (e miracolo) più grande del perdono? Una cosa è certa: per Gesù la croce non è stata un incidente, ma una scelta, non per placare un Dio adirato, ma per manifestare il suo amore «sino alla fine» (Giovanni 13, 1).


2) Con la morte di Gesù finisce per sempre l’era dei sacrifici, come già avevano preannunciato i profeti. È molto significativo che tra i numerosi ministeri all’opera nella chiesa apostolica manchi del tutto quello di sacerdote. Perché? Perché c’è sacerdote dove c’è sacrificio, ma siccome nel cristianesimo non c’è più sacrificio da offrire, il sacerdote scompare insieme al sacrificio. Così era all’inizio. Ma col tempo, cioè con la lenta ma progressiva clericalizzazione del ministero e con la dottrina secondo la quale la Cena del Signore è un «sacrificio» che la chiesa offre a Dio, il sacerdote è ricomparso: c’era di nuovo un sacrificio da offrire. Ma questa dottrina è del tutto estranea al Nuovo Testamento e alla fede cristiana delle origini, anzi le è contraria. Secondo il Nuovo Testamento, non siamo noi che offriamo la Cena a Dio, è Dio che si offre a noi nei segni del pane e del vino. Ecco perché la Riforma ha così strenuamente (e giustamente) combattuto l’idea della Cena come sacrificio.
Ma allora, non ci sono più sacrifici da offrire a Dio? Sì, ce n’è uno, l’unico che Dio gradisca, ed è questo: un «sacrificio di lode» da offrire «del continuo», cioè «il frutto di labbra confessanti il suo nome»; ma anche «fare del bene» al prossimo e «condividere i propri beni» con altri, «perché è di tali sacrifici che Dio si compiace» (Ebrei 13, 15-16).

Concludo. Il nostro lettore si chiede: «Davvero l’uomo, nella sua (commovente) disperazione, pensa di legare Dio a sé con il sacrificio di un capro espiatorio?». No, una cosa del genere è cristianamente impensabile. È piuttosto Dio che, nella sua «follia», come la chiama l’apostolo Paolo (I Corinzi 1, 25), si è legato all’uomo con un patto d’amore senza riserve, suggellato dalla croce, dalla quale discende il nostro perdono.


tratto dalla rubrica
Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 20 giugno 2008
www.riforma.it 


si veda anche: www.chiesavaldese.org

giovedì 11 ottobre 2012

Corso di Teologia Fondamentale ad Aosta accreditato dalla Facoltà Valdese di Teologia




SCHOLA VALDESE di TEOLOGIA
- Aosta  
 - Introduzione alla Teologia Evangelica -
Gioia e difficoltà del Credere – per una Teologia della Fede



Teologia in Dialogo
Domande per Sapere Risposte per Domandare ancora
       Orizzonti di Teologia Fondamentale
Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi
a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni
I Pietro 3,15
Area Tematica: Teologia Sistematica
Docente: Maurizio Abbà, pastore valdese
Giorno: Sabato
Orario: 15.30 ogni incontro è della durata di due ore
Sede: AOSTA 
nei locali comunitari della Chiesa Evangelica Valdese di Aosta - Via Croix de Ville, 11. 
incontro mensile
periodo: ottobre 2012-giugno 2013

calendario incontri

Sabato  20 ottobre 2012                     La Teologia cos’è?
La Teologia Fondamentale: introduzione generale alla materia e, in specifico, al corso.
La Critica della Religione necessaria alla Teologia della Fede

Sabato  17 novembre    2012                       La Preghiera dialogo con Dio?


Sabato     1 dicembre    2012  in questa data l'incontro è alle ore 14.30     
                                                     La Bibbia bussola per l’orientamento del credente?


Sabato    12 gennaio        2013                    La TriUnità: l’amore di Dio per noi?

Sabato      9    febbraio 2013                       La Festa  per una lettura della fede?

Sabato     9 marzo       2013                         La Liturgia per una fede creativa?

Sabato   20 aprile          2013                       La Risurrezione al centro della fede?

Sabato  11 maggio     2013                          Perdere la fede: cosa fare?

Sabato    8  giugno  2013                             Cosa Sperare? Fede – Speranza - Amore



Per partecipare:
l’adesione è libera, l’iscrizione è gratuita.
Per iscriversi, entro il 20 ottobre 2012:
- inviare una E-mail a: mabba@chiesavaldese.org
- o telefonare al n. di Cell.: 334-3497570;
- oppure scrivere a: Maurizio Abbà, Via Croix de Ville, 11. - 11100 Aosta.

Il corso è accreditato dalla 
Facoltà Valdese di Teologia di Roma
corso di Laurea in Scienze Bibliche e Teologiche
4 crediti per la partecipazione al corso


Il corso è in collaborazione con:
- la Commissione Sinodale per la Diaconia C.S.D.            www.diaconiavaldese.org
             - Riforma – settimanale delle Chiese Battiste, Metodiste, Valdesi         www.riforma.it

mercoledì 10 ottobre 2012

Insieme per la Pace in Valle d'Aosta: iniziato l'anno sociale 2012-2013




con proiezioni di diapositive, in collaborazione con la rivista Confronti www.confronti.net  
si è svolto martedì 9 ottobre 2012 la conferenza:
"KERALA, 'OASI' DI CONVIVENZA TRA LE RELIGIONI"
a cura della Prof.ssa Alida Chiavenuto, originaria della Comunità valdese valdostana, attualmente della Chiesa Evangelica Valdese di Como.
- L'incontro con un pubblico partecipe e qualificato si è svolto ad Aosta nei locali del CSV, Via Xavier de Maistre, 19. 

Sull'argomento la rivista Confronti in internet:



Confronti
rivista di fede, politica, vita quotidiana,
n. 2 febbraio 2012, 
Kerala, viaggio nella cultura indiana,
pp. 3.9-16 (con diverse foto che illustrano il fascicolo)




                                                                  













Insieme per la Pace in Valle d'Aosta
Tema scelto degli incontri periodici 2012-2013:
"LA RELIGIONE PER UN'ETICA DELLA RESPONSABILITÀ 
AL SERVIZIO DELL'UMANITÀ."

Prossime iniziative in calendario:
Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno
martedì  13 novembre 2012 
alle ore 20.00
Via Monte Grivola, 29 - Aosta
ingresso libero e gradito




Chiesa Evangelica Valdese
martedì 12 febbraio 2013   
alle ore 18.00 
Via Croix de Ville, 11 - Aosta
ingresso libero e gradito


martedì 2 ottobre 2012

Religioni in Dialogo in Valle d'Aosta


GRUPPO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO "INSIEME PER LA PACE"


Premessa

Il Gruppo nasce nel 1996, per iniziativa di Carla Jacquemod, coadiuvata da Fra’ Luca Margaria, della diocesi cattolico-romana di Aosta, in occasione delle celebrazioni del decennale dell'incontro delle religioni, avvenuto ad Assisi, che proseguiva il secolare percorso interreligioso iniziato con il “Parlamento delle religioni di Chicago” del 1893, e che sarebbe proseguito fino all'ultimo incontro di Assisi del 29 ottobre 2011.
Nuovo incontro nell’ottobre 1997, ma solo dopo l’11 settembre 2001 ebbero luogo alcune riunioni di preghiera per la pace, che si tennero prima dagli Avventisti, poi nella parrocchia di S. Stefano e via via anche nelle altre sedi delle comunità, fino alla costituzion e di un Comitato operativo, che ancora oggi si riunisce regolarmente al fine di realizzare gli obiettivi del Gruppo e di organizzare progetti e attività.

Componenti

Chiesa Cattolica-Diocesi di Aosta, Chiesa Avventista del Settimo giorno, Chiesa Evangelica Valdese, Chiesa Ortodossa di Romania, Comunità Bahá’ í della Valle d’Aosta, Chiesa della Scienza Cristiana.
La Lega Islamica Autonoma in Valle d’Aosta ha fatto parte del Gruppo fino al novembre 2010. Per un breve periodo hanno partecipato al Gruppo anche i Buddisti della Soka Gakkai.
Finalità

Operare concretamente all’interno delle singole realtà religiose e all’esterno di esse, per costruire il rispetto dei diritti umani e dei popoli, attingendo al tesoro spirituale presente in ciascuna.

Attività svolte

2002-2003
Ogni due mesi, presso le sedi delle varie comunità, incontri periodici per pregare e per favorire la reciproca conoscenza. Prima parte dedicata alla preghiera e alla lettura di testi spirituali; seconda parte: presentazione delle caratteristiche della propria fede e spiritualità.
Oltre agli incontri regolari si organizza un evento annuale, con il patrocinio della Regione Valle d’Aosta e del Comune di Aosta.
Il primo di tali eventi - "ABITARE INSIEME LA TERRA: LE RELIGIONI E IL CREATO" - si tiene domenica 26 ottobre 2003, presso il Teatro Aurora della parrocchia dell’Immacolata di Aosta.

2004-2012
Il Gruppo consolida la reciproca conoscenza sempre con incontri periodici ed evento annuale, di cui seguono gli elenchi.

Incontri periodici

2004-2005: ciclo di incontri sul tema "LA PREGHIERA, IL RESPIRO DELLE RELIGIONI”".
2005-2006: ciclo di incontri sul tema "IL NOSTRO QUOTIDIANO”".
2006-2007: ciclo di incontri sul tema "EDUCAZIONE"
2007-2008: ciclo di incontri sul tema "Una parola chiave nelle nostre religioni".
2008-2009: ciclo di "5 incontri di preghiera, lode, approfondimento sulle nostre religioni".
2009-2010: gli incontri periodici sono consistiti nella partecipazione delle varie comunità ai momenti significativi delle proprie religioni. 
Il 10 ottobre 2010, nella chiesetta di Saint-Martin si è svolto un incontro di preghiera dal tema "L'AMORE DI DIO CI UNISCE NELLA PACE", in cui tutti le comunità religiose del Gruppo hanno avuto il loro spazio.
Il 30 ottobre 2010, nella Chiesa Valdese, è svolto l'incontro "DIALOGO SULLE BEATITUDINI", il
3 giugno quello nella Chiesa Avventista, il 14 giugno 2011, in quella Ortodossa Romena e infine il programma annuale si è concluso il 22 febbraio 2011, con l'incontro "IL RESPIRO DELLE RELIGIONI "organizzato dalla Fede Baha'i.
2011-2012: progetto di incontri in alcune classi del Liceo Scientifico di Aosta e di Saint-Vincent. Dopo una breve storia del dialogo interreligioso, si sono presentate alle classi le finalità del Gruppo e gli insegnamenti della propria religione, con attenzione particolare al tema della Pace e delle Festività religiose. Dopo l'esposizione gli studenti hanno dialogato con i rappresentanti delle religioni con domande e considerazioni pertinenti e interessanti.

Eventi annuali

19 settembre 2004: "COME UN ARCOBALENO: VIVERE INSIEME LA RICCHEZZA DELLE NOSTRE DIFFERENZE".
25 settembre 2005: "FONDAMENTALISMO E RELIGIONI".
1° ottobre 2006: "LIBERTÀ DI RELIGIONE, RELIGIONI DI LIBERTÀ".
14 ottobre 2007: "ORIZZONTI DI PARI OPPORTUNITÀ PER LE RELIGIONI: CAMMINARE INSIEME PER CONOSCERSI E COMPRENDERSI".
12 ottobre 2008: "INSIEME NELLA DIVERSITÀ? È POSSIBILE!".
28 settembre 2010: conferenza stampa di presentazione del programma annuale presso la Cittadella dei giovani, Aosta.

Il dibattito con il pubblico, il buffet tipico e le serate artistiche hanno favorito  conoscenza. condivisione di vite e socializzazione. Gli spettacoli musicali hanno spaziato in vari campi: dagli Spirituals e Gospel di Ranzie Mensah ai canti ebraici di Manuela Sorani; dal Coro Gospel “Anno Domini” ai percussionisti Mamima Swan di Matteo Cigna; dai canti del Coro ortodosso romeno di Torino a quelli del Coro baha’i di Mantova; dallo spettacolo di mimo degli Avventisti al récital del gruppo dei Giovani Musulmani, fino all’esibizione del coro valdostano Les Hirondelles.

Programmi per l'anno 2012/2013

Dopo la conferenza stampa del 2 ottobre, il programma dell'anno in corso prosegue con una conferenza pubblica, con proiezioni di diapositive, in collaborazione con la rivista 'Confronti' "KERALA, 'OASI' DI CONVIVENZA TRA LE RELIGIONI", a cura della Prof.ssa Alida Chiavenuto, che si terrà martedì, 9 ottobre 2012, alle ore 20.30 ad Aosta presso il CSV, Via Xavier de Maistre, 19.

Tema scelto degli incontri periodici 2012-2013:
"LA RELIGIONE PER UN'ETICA DELLA RESPONSABILITÀ AL SERVIZIO DELL'UMANITÀ."

Il calendario:
Chiesa Avventista........................13 novembre 2012 alle ore 20.00
Chiesa Valdese............................12 febbraio 2013 alle ore 18.00
Chiesa Cattolica e Ortodossa........aprile 2013 – la data sarà comunicata
Fede Baha'i................................. maggio  2013 – la data sarà comunicata
Scienza Cristiana......................... giugno 2013 – la data sarà comunicata

Sono in programma:
- il prosieguo e l'allargamento del progetto relativo alle scuole superiori.
- incontri con il pubblico nelle Biblioteche nella Regione Valle d'Aosta
che li richiederanno.

Per informazioni sul "Gruppo Insieme per la pace"