Cerca nel blog

martedì 21 giugno 2011

LA TEOLOGIA DELLE IMMAGINI DI MARTIN LUTERO - L'ESTETICA TEOLOGICA DI GIOVANNI CALVINO


L'immagine all'epoca

della Riforma

oltre i conflitti

le nuove prospettive

di Jérôme Cottin,
Facoltà teologica,
Parigi


Il tema dell’iconoclastia della Riforma è ormai abbastanza conosciuto; meno nota, la creatività visuale ed il pensiero visivo della Riforma, nella sua doppia realtà storica: quella tedesca luterana, e quella svizzera-francese zwingliana o calvinista, cioè riformata.

La storia ha ritenuto che la Riforma sia stata iconoclasta, proprio perché ha riscoperto il valore assoluto del testo biblico. Non c’è stato allora più spazio per l’immagine: valgono prima la Scrittura e poi la parola del sermone, che la attualizza. Uno dei slogan della Riforma è, in effetti, Sola Scriptura. Questo vuol dire che anche la trascrizione del testo biblico in un’immagine che la illustra non ha valore: e questo, per almeno quattro motivi:

1.  Il segno visivo non è uguale al segno linguistico; è secondario rispetto al primo.

2.  La Bibbia non propone nessuna immagine plastica; per lei, quasi tutte le immagini sono degli idoli.

3.  L’illustrazione di un testo biblico è già un’interpretazione, un tradimento del testo stesso.

4.  Piuttosto che mostrare immagini a quelli che non sanno leggere, meglio insegnare loro a leggere. Anche l’uso pedagogico dell’immagine, la cosiddetta Biblia pauperum viene messa in questione.A partire dal 1525, Lutero, che si preoccupa di diffondere il Vangelo il più possibile, scopre che le immagini possono essere utili (…)








Questa valutazione finalmente positiva delle immagini non ha soltanto ragioni pedagogiche e pratiche. È anche supportata da una antropologia aperta ai cinque sensi. Per lui, l’uomo pensa in e con immagini: «Le cose spirituali, non si possono pensare senza immagini»; e altrove, dirà che, siccome l’essere umano ha cinque sensi, ha bisogno di segni visivi per pensare la fede, per credere. Afferma anche che l’immagine plastica (egli pensava a Cristo sulla croce) non è altro che lo sviluppo  della stessa immagine che portiamo in noi, che abbiamo in mente.  Mentre per Calvino l’immaginazione è il luogo di nascita degli idoli nel senso che l’uomo sviluppa delle idee proprie che non sono quelle di Dio, per Lutero l’immaginazione è necessaria per appropriarsi in modo profondo ed intimo delel parole della Grazia, cioè la figura di Cristo crocifisso.

C’è però un limite alla teologia delle immagini di Lutero: esse sono competamente sottomesse al potere della Scrittura; si trovano in un rapporto di sottomissione rispetto alla praola pronunciata o scritta. Questo si vede già plasticamente: tutte le immagini prodotte dal luteranesimo sono accompagnate da versetti biblici, sotto, e spesso dentro lo spazio della rappresentazione. Si sa che Lutero controllava le immagini bibliche di Cranach, chiedendogli di rifare le immagini dell’Apocalisse, non fedeli al testo biblico, perché non lo illustravano. Lutero rimane nell’ambito della ancilla theologiae, l’immagine come serva della teologia. L’immagine non vale per sé, ma soltanto nel suo ruolo pedagogico; non ha in sé alcuna autorità, alcuna autonomia. 



La collaborazione tra Martin Lutero e Lucas Cranach

La riforma protestante non ha soltanto criticato e rifiutato le immagini.
Ne ha anche create. Questo accade soprattutto in ambiente luterano.
Il fatto che Lutero accetti il ruolo pedagogico dell'immagine, che abbia 
un'antropologia aperta all'immagine e una 
concezione realistica del sacramento, 
aiuta ad accogliere le immagini. Ma a due condizioni: devono essere fedeli
alla Bibbia e devono essere accompagnate da versetti biblici dipinti
dentro, sotto o attorno il quadro.
Vorrei presentare due esempi dell'iconografia biblica in contesto luterano,
molto diversi sia nella fattura, sia nel tema, 
ma tutti e due dovuti a Lucas Cranach uno dei più famosi artisti 
della Germania nel '500 e amico intimo del riformatore.
(...) 

Il pensiero estetico di Giovanni Calvino

è l’occasione per menzionare il suo rapporto paradossale con l’immagine. Egli formulò così il paradosso: Calvino rifiutava qualsiasi immagine in rapporto con la rivelazione (…), vietando le illustrazioni dei testi biblici, ma utilizzando in abbondanza immagini narrative. È stato molto attento alle metafore, ai simboli profetici, ai segni biblici di cui parla la Bibbia, ispirandovisi, tanto nello stile letterario, quanto nel presentare il contenuto della fede. Per esempio, parlando della realtà e della bellezza del Regno di Dio, Calvino riconosce che le parole sono inefficaci per darci un’idea di quello che potrebbe essere questo Regno; bisognerebbe, allora, fare come i profeti biblici, che hanno parlato non più con parole, ma con atti, gesti, simboli. «Il regno di Dio» dice Calvino «è quasi sviluppato con figure». E aggiunge: «i profeti, perché non riuscivano ad esprimere con parole, queste beatitudini spirituali nella loro sostanza, l’hanno descritta e quasi dipinta con figure corporali». Potrei riempire pagine di citazioni, nelle quali Calvino parla della bellezza, del dipinto dello sguardo, del segno visivo, della luce e del mondo visto come opera d’arte, quando si esprime sulla grandezza di Dio a cui solo appartiene la Gloria, cioè la bellezza. Soli Deo Gloria è, come sappiamo, lo slogan che riassume la teologia del riformatore di Ginevra. Vorrei indicare tre esempi di quella «immagine spirituale» nel pensiero biblico di Calvino.

Dalla metafora al segno visibile

 

Quando parla di Dio, Calvino usa spesso metafore che riguardano l’ambito del visuale, delle immagini, delle opere d’arte;
«i sacramenti ci portano promesse chiare (…) e ce le mettono davanti ai nostri occhi, come una pittura» (
Istituzione cristiana, 1541). Lo stesso per la creazione: «Il bell’ordine che vediamo tra il giorno e la notte, le stelle che vediamo in cielo e tutto il resto della creazione, sono per noi come una pittura viva nella maestà di Dio». Calvino parla spesso  della creazione usando l’espressione: «Questa bella opera d’arte che è il mondo». Quando parla dell’uomo, evoca un’altra opera d’arte: «Quando si fa un bell’arazzo, soltanto quello che vediamo è bello; la parte nascosta è deformata. Ma per l’uomo, vediamo che è bello dalla testa fino alla pianta dei piedi». Ma Calvino non rimane al semplice uso linguistico della metafora. A volte, la metafora un vero oggetto visibile, un segno da interpretare.


La dialettica del visibile e dell’invisibile

C’è una teologia dell’immagine nel pensiero di Calvino, ma all’interno di una dialettica del visibile e dell’invisibile. Certo, non si può vedere Dio. Però questa invisibilità non è totale né permanente: «Anche se Dio è invisibile, la sua gloria rimane visibile. Quando si tratta della sua essenza, egli abita certo una luce inaccessibile: ma dal lungo tempo che Lui regna sul mondo, questa gloria è il vestito nel quale Dio ci appare comunque di un certo modo visibile, colui che in sé era nascosto». E nella sua Istituzione cristiana:

«La divinità invisibile è rappresentata con la figura del mondo, ma i nostri occhi non arrivano a poterla vedere, però nella fede, 
sono illuminati con la rivelazione interiore di Dio».


Se si va un po’ più avanti nel pensiero di Giovanni Calvino, ci si accorge che il suo pensiero teologico è supportato da molteplici segni, che rinviano gli uni agli altri, costituendo quasi una semiotica. Il riformatore di Ginevra si appoggia sulla differenza agostiniana tra il segno e la cosa, ma va più avanti, distinguendo tra diversi segni: vi sono i segni vuoti di qualsiasi significazione; poi i segni umani, che hanno valore per la comunità umana; poi i segni spirituali, che sono di essenza spirituale, e che Calvino qualifica come «sacramenti», a cui si aggiungono i due sacramenti della della chiesa cristiana. Per questo lo Spirito Santo ha un posto così centrale: non è soltanto una figura della divinità, non è soltanto la presenza di Cristo nella sua invisibilità; è un principio di effettuazione: rende possibile il fatto che il segno sia più di se stesso, senza essere un idolo: «Quello che dice Agostino è vero, cioè che il segno visibile appare spesso sotto la santificazione invisibile, e al contrario la santificazione appare sotto il segno visibile».

Non è questo il luogo per approfondire l’estetica teologica di Giovanni Calvino, che ha sviluppato una estetica senza immagini, ma dalla quale, più tardi, nasceranno vere opere d’arte. Un’arte che va aldilà delle illustrazione, un’arte che sia veramente spirituale. Gli artisti più famosi dell’ambiente calvinista, li conosciamo si chiamano: Rembrandt, Van Gogh, Caspar David Friedrich, Mondian, Paul Klee o ancora – è importante saperlo in un ambiente italiano – Alberto Giacometti.


Conclusione

Le caratteristiche delle immagini prodotte dalla Riforma potrebbero essere le seguenti:

chiarezza di lettura;

semplicità dei mezzi;

stretto legame con la Parola e la Scrittura;

inserimenti nella cultura del tempo;

scopo militante;

immagine «laicizzata», cioè libera da ogni legame col sacro.

La Riforma fu certo critica rispetto all’immagine, ma questa critica ha anche contribuito a ripensare si il ruolo dell’immagine, sia il nostro rapporto con essa. Ormai l’immagine – quella biblica come quella umanistica – si presenta spesso come una pagina da leggere, e mostra segni e oggetti da interpretare. L’immagine si inscrive in una ermeneutica dei segni, visivi o linguistici. Partecipa alla nascita dell’immagine dell’età moderna.






tratto da: IL MONDO DELLA BIBBIA 100,
n. 5 - NOVEMBRE - DICEMBRE 2009
pp. 24-29;
per vedere l'articolo completo.