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giovedì 31 marzo 2011

ETTY HILLESUM

«Se noi salveremo solo i nostri corpi dai campi di prigionia, dovunque essi siano, sarà troppo poco. Non si tratta infatti di conservare questa vita a ogni costo, ma di come la si conserva.»

Etty Hillesum


Video tratto dal programma di Rai Educational "Cult Book"

lunedì 28 marzo 2011

ECUMENISMO: IMPORTANTI RACCOLTE DI DOCUMENTI




Cereti Giovanni, Puglisi James F. (a cura di)
ENCHIRIDION OECUMENICUM 10
Documenti del dialogo teologico interconfessionale. Dialoghi locali 2002-2005
Anno: 2010 (novembre)
Edizione: 1
Pagine: 1440
Collana: Enchiridion Oecumenicum





Descrizione dell'opera

Prosegue - dopo i volumi 2, 4 e 8 - la raccolta dei principali documenti del dialogo interconfessionale a livello nazionale e, talora, continentale, raccolti e tradotti da una pluralità di fonti e pubblicazioni e in grandissima parte inediti - e spesso poco noti - in Italia. Tra i più importanti, per l'Europa, Un solo maestro del gruppo francese di Dombes, dedicato all'autorità nella Chiesa, e alcuni corposi documenti del dialogo tra anglicani e battisti e tra anglicani e metodisti in Gran Bretagna. Per gli Stati Uniti vanno segnalati la lunga dichiarazione comune di cattolici e luterani La chiesa come kôinonia di salvezza e una serie di documenti che regola lo scambio dei ministri tra varie Chiese. Uno strumento indispensabile per tutti coloro che sono interessati a conoscere e studiare come procede, tra speranze e difficoltà, il cammino ecumenico.

Note sui curatori

GIOVANNI CERETI è stato ordinato sacerdote nel 1960, dopo la laurea in giurisprudenza conseguita all'Università di Genova nel 1956. Ha esercitato il ministero pastorale a Genova, a Bouar (Repubblica Centrafricana) e a Roma, dove attualmente è rettore di San Giovanni dei Genovesi in Trastevere. Dottore in teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana, è stato docente di ecumenismo e di dialogo interreligioso in diversi atenei e istituti teologici, fra i quali l'Istituto di Studi ecumenici "San Bernardino" di Venezia e la Facoltà teologica Marianum di Roma. Nel 1976 ha iniziato il cammino della Fraternità degli Anawim e nel 1980 ha fondato la sezione italiana della World Conference of Religions for Peace, movimenti di cui è ancora responsabile. Con le EDB ha pubblicato: Divorzio nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva (21998), Per un'ecclesiologia ecumenica (2003) e Le Chiese cristiane di fronte al papato. Il ministero petrino del vescovo di Roma nei documenti del dialogo ecumenico (2006); insieme a S. Voicu ha curato il primo e il secondo tomo degli Enchiridion Oecumenicum; insieme ad A. Filippi e L. Sartori ha curato l'edizione italiana del Dizionario del movimento ecumenico (1994).
JAMES F. PUGLISI è ministro generale dei frati francescani dell'Atonement. Insegna ecclesiologia, ecumenismo e sacramenti presso il Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, la Pontificia Università Antonianum, la Pontificia UniversitàAngelicum e l'Istituto di Studi ecumenici "San Bernardino" di Venezia. È inoltre direttore del Centro Pro Unione.
Insieme, i due hanno curato il terzo, il quarto, il settimo e l'ottavo tomo degli Enchiridion Oecumenicum.





Rosso Stefano, Ceronetti Gianfranco (a cura di)
ENCHIRIDION OECUMENICUM 9/1


Fede e Costituzione
                                 Meeting 1967-1982
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA EDB

Anno:
 2010 (novembre)
Edizione: 1
Pagine: 1500
Collana: Enchiridion Oecumenicum







Descrizione dell'opera

Fede e Costituzione (FC), dal 1948 commissione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), ne costituisce la testa pensante e l'organismo più esteso, nonché l'unico veramente «ecumenico», partecipandovi a pieno titolo la Chiesa cattolica e avendo sempre avuto come preoccupazione centrale l'unità della Chiesa. È infatti a FC che sono affidati lo studio e l'approfondimento di molti dei problemi fondamentali che si affacciano con urgenza nella vita del CEC.
Per trent'anni, dalla Conferenza di Montréal (1963) alla Conferenza di Santiago de Compostela (1993), FC non ha tenuto conferenze a livello mondiale, ma ogni tre o quattro anni ha svolto le riunioni regolari del Consiglio permanente, ha portato avanti studi e ha elaborato documenti a servizio dell'ecumenismo. Tale periodo è segnato da un'attività teologica di alta qualità, che ha stimolato le Chiese a interrogarsi sulle vie dell'unità. In questo tempo sono stati redatti documenti in numero cospicuo, che hanno reso possibili passi decisivi, ritenuti irreversibili.
Dopo gli atti delle conferenze mondiali di FC (Enchiridion Oecumenicum 6), si propongono ora gli atti dei cinque incontri della commissione tenutisi dal 1967 al 1982 (Bristol, Lovanio, Accra, Bangalore e Lima). Si tratta di documenti ormai reperibili soltanto presso le biblioteche specializzate, determinanti per l'aggiornamento e il rinnovamento della vita interna di molte Chiese, e per l'intensificazione e l'approfondimento dei rapporti fra le Chiese e le varie comunioni.

Note sui curatori

STEFANO ROSSO, sacerdote salesiano, è nato a Piovà Massaia (AT). Si è laureato in teologia liturgica al Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo (Roma). È docente di liturgia presso la sezione torinese dell'Università Pontificia Salesiana. È impegnato nel movimento ecumenico. Ha pubblicato tra gli altri: Un popolo di sacerdoti. Saggio di liturgia fondamentale, LAS, Roma 1999; Il segno del tempo nella liturgia. Anno liturgico e liturgia delle ore, Elledici, Torino 2002. Presso le EDB ha curato, insieme a Emilia Turco, Enchiridion Oecumenicum 6. Fede e Costituzione. Conferenze mondiali 1927-1993 (2005)e 5. Consiglio Ecumenico delle Chiese. Assemblee generali 1948-1998(2001). Ha inoltre collaborato a voci di dizionari e ad opere collettive di carattere teologico-liturgico.
GIANFRANCO CERONETTI collabora con la Commissione interregionale per l'ecumenismo e il dialogo Piemonte-Valle d'Aosta. Ha curato, insieme a Stefano Rosso ed Emilia Turco, Dialogo come progetto. 2. Le tradizioni religiose dell'Asia, Torino 2005.


www.dehoniane.it

venerdì 25 marzo 2011

UNA PICCOLA SCUOLA PER GRANDI PREGHIERE



GETSEMANI
Artista: Vie de Jesus Mafa (Africa contemporanea)


IL CENACOLO
MEDITAZIONI PER OGNI GIORNO

ANNO LX - N.2 - MARZO - APRILE 2011
PUBBLICAZIONE BIMESTRALE

meditazioni giornaliere per il culto
individuale e familiare



tratto da p. 2:

COME USARE OGNI GIORNO

ICENACOLO



Prima di iniziare: siedi in silenzio per circa 30 secondi in modo da rasserenare il tuo spirito. Poi fa dei respiri profondi e mettiti a tuo agio.


Leggere: per prepararti alla meditazione apri la Bibbia e leggi il passo consigliato sotto il titolo. Dopo averlo letto, raccogliti per qualche istante per riflettere sul tuo brano. Cosa ti viene in mente? Cosa ha attirato la tua attenzione?


Versetto citato: si ricollega al significato fondamentale della lettura del giorno. Leggilo con attenzione e pensa a cosa significa per te. Se memorizzare ti risulta facile, puoi provare a imparare a memoria un versetto una volta o due la settimana.

La “storia”: le meditazioni sono scritte da persone che vivono in diverse parti del mondo. Dopo aver letto la parte principale della pagina, soffermati chiedendoti:
“Quale collegamento alla mia vita hanno le parole di questa persona?”

La preghiera: concludi il tuo momento di raccoglimento usando la preghiera alla fine della pagina. Potresti voler aggiungere qualcosa, ricordando persone o situazioni che ti sono venute in mente durante la tua riflessione.

Pensiero del giorno: è un invito a dare un senso alla lettura del giorno. Ripetilo a te stesso più volte durante la giornata e tienilo a mente per ricordare quello che hai ricevuto dal Signore durante il tuo raccoglimento.



Redazione italiana

Coordinamento editoriale: Giunio Censi

Supervisione teologico - pastorale: Aurelio Penna

Graphic designer: Paolo Manocchio

Traduzione dall'inglese a cura di:

Luca Brenga, Giosiana Ghisolfi, Margaret Tait, Anna Vanzulli

Per abbonamenti e corrispondenze scrivere a:

"Il Cenacolo" c/o O.P.C.E.M.I.
Via Firenze n.38 - 00184 Roma
e-mail: cenacolo@chiesavaldese.org


Direttore responsabile: Paolo Manocchio

giovedì 24 marzo 2011

Il rammarico della FCEI dopo la sentenza della Corte europea


Crocifisso


Il rammarico della FCEI dopo la sentenza della Corte europea



Roma (NEV), 23 marzo 2011 - A poche ore dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) di Strasburgo nel caso Lautsi contro l'Italia sul crocifisso nelle aule scolastiche, lo scorso 18 marzo la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha diffuso il seguente comunicato stampa:

"La FCEI si rammarica che il 'caso italiano' sia stato ancora una volta occasione di una normativa eccezionale, che non realizza pienamente uno Stato laico, in cui tutti possano riconoscersi, senza discriminazione di credo religioso o altro (art. 3 della Costituzione Italiana). I crocifissi continueranno a essere presenti nelle aule scolastiche e nei tribunali, ma per le minoranze che hanno ricevuto i diritti civili 
e di culto poco più di 150 anni fa, come le chiese evangeliche, questi crocifissi non rimanderanno a una comune appartenenza o cultura italiana.

Essi appariranno invece, come sono, retaggio di una società dominata dalla cultura cattolica e dai suoi simboli. Pur conoscendo, a livello ecumenico, che le forze migliori della chiesa cattolica si propongono di costruire insieme una società di convivenza multireligiosa e interculturale, invitiamo ad approfondire il confronto sui temi della laicità e in particolare di una presenza plurale nella scuola pubblica".

Nella sentenza della CEDU, che definisce il crocifisso quale "simbolo passivo", si legge tra l'altro: "se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni. Inoltre, pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare una violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1", quello cioè riferito al diritto fondamentale all'istruzione. Inoltre la CEDU considera che "non è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne", dato che in Italia "il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno delle posizioni divergenti sul significato del crocifisso e che la Corte Costituzionale non si è pronunciata sulla questione". Con questa decisione la Grande Camera della CEDU a grande maggioranza (15 giudici contro 2) ha ribaltato quanto reso il 3 novembre 2009 in prima istanza all'unanimità dai 7 giudici della Camera (vedi NEV 44 e 45/09).



Crocifisso in aula/2. Disappunto del mondo protestante per la sentenza CEDU
"Un'occasione persa per la laicità dello Stato", "Il crocifisso non è un simbolo di dominio"

Roma (NEV), 23 marzo 2011 - Non è piaciuta ai protestanti l'assoluzione dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) nel caso Lautsi sull'affissione del crocifisso nelle aule scolastiche. L'Agenzia stampa NEV - in seguito alla pronuncia della sentenza del 18 marzo, che ha ribaltato quella emessa in prima istanza dalla CEDU nel novembre 2009 - ha raccolto le reazioni a caldo di luterani, battisti, avventisti, valdesi e metodisti.
La pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese (organo esecutivo dell'Unione delle chiese metodiste e valdesi) ha accolto con "grave disappunto" la sentenza, che "conferma l'ambiguità e la contraddittorietà della normativa italiana sulla materia: da una parte non si ha il coraggio di affermare che il crocifisso è obbligatorio, mentre dall'altra si teme di dispiacere le gerarchie vaticane non sciogliendo un nodo che si trascina ormai da decenni da una Corte all'altra. Valdesi e metodisti italiani restano convinti che l'esposizione del crocifisso nelle sedi istituzionali violi il principio supremo di laicità dello Stato e di pluralismo culturale e confessionale. Come credenti ci preoccupa che un simbolo della fede cristiana venga imposto come espressione di una cultura e di una civiltà. Per parte nostra né il crocifisso, né la nuda croce possono essere imposti come simboli di una tradizione, ma possono essere soltanto il contenuto di una predicazione e di una testimonianza liberamente rese".
Il pastore Ulrich Eckert, vice decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), ha dichiarato: "Per i luterani, il crocifisso o la croce è il simbolo più alto che riassume il dono che Dio fa di sé all'umanità. Non esigiamo che il crocifisso venga esposto in luoghi pubblici in quanto simbolo di fede, ma non siamo contrari alla sua esposizione come simbolo di un richiamo alla tradizione viva della fede cristiana. E' però fondamentale rispettare la richiesta di toglierlo ove qualcuno se ne veda disturbato, proprio per evitare l'uso di questo simbolo di amore e di solidarietà come simbolo di dominio. Siamo contrari all'uso del crocifisso come segno di affermazione di una presunta supremazia della fede cristiana nella società pluralistica, democratica e quindi ispirata a criteri di giustizia, uguaglianza e laicità. Guai a chi spera di concentrare il difficile e importante compito di un'autentica testimonianza delle fede nel Signore Gesù Cristo sull'affissione di simboli".
Per il pastore Raffaele Volpe, presidente dell'Unione cristiana evangelica battista d'Italia (UCEBI) "ora che la Grande Camera della Corte europea ha assolto l'Italia, per noi protestanti non resta altro da fare che tornare alla grande corte della nostra coscienza. Davanti a questo tribunale noi conserveremo la nostra posizione che riteniamo non solo buona, ma anche giusta. Lo faremo attraverso la nostra testimonianza, la nostra civile disobbedienza, nel nome del Dio che professiamo, ma anche nel nome della ragione".
L'avventista Dora Bognandi, segretario nazionale dell'Associazione internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR), ha dichiarato: "E' una sentenza alla Ponzio Pilato: in pratica la Corte di Strasburgo se ne lava le mani. Ancora una volta si è dimostrato che spesso si sceglie di non dispiacere il più forte. Un'occasione persa per aiutare il nostro paese a scegliere la via della laicità".
Amareggiata anche l'Alleanza evangelica Italiana (AEI), che in un comunicato diffuso il 21 marzo riassume le ragioni che non permettono di accettare il "crocifisso di stato". Per l'AEI l'esposizione di questo simbolo, peraltro tipicamente cattolico romano, come viene sottolineato, "rappresenta ancora oggi un modo efficace di 'marcare il territorio' e affermare la propria egemonia nei confronti di tutti gli altri". Pertanto deplora il fatto che "il crocifisso sia strumentalizzato per finalità di potere che nulla hanno a che fare con la laicità dello Stato e il significato della croce".


Per informazioni:
Agenzia NEV - Notizie Evangeliche
Federazione delle chiese evangeliche in Italia
tel. 06/48.25.120
fax 06/48.28.728
e-mail: Agenzia Stampa NEV  

lunedì 21 marzo 2011

Giornata Mondiale di Preghiera ad Aosta



Giornata Mondiale di Preghiera ad Aosta - Domenica 13 marzo 2011

Fotografie a cura di: Iulian SAVA della Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno
 che ringraziamo

venerdì 18 marzo 2011

GIAPPONE: PER LE VITTIME DEL TERREMOTO


La FCEI invita le chiese alla preghiera e lancia una sottoscrizione di solidarietà

 
Roma (NEV), 16 marzo 2011 - Profondamente scioccato dal terremoto di magnitudo 9 della scala Richter che ha scosso il Giappone lo scorso 11 marzo, e dal successivo tsunami e alla sua forza devastatrice che ha distrutto le città sulla costa nord occidentale del Sol levante, il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha aperto una sottoscrizione a favore delle vittime.

Di seguito il messaggio del Consiglio FCEI: "Come federazione di chiese e come comunità di credenti, siamo vicini al popolo del Giappone, che sta sopportando catastrofi enormi. Invitiamo le chiese a rivolgere le loro preghiere al Dio che si è rivelato in Gesù Cristo come Dio della riconciliazione e della pienezza di vita. Nel periodo che precede la Pasqua invitiamo a pregare nelle chiese per le vittime del terremoto e dello tsunami, per coloro che hanno perso le tracce dei loro cari, che hanno visto travolgere le loro città dalla violenza dell’acqua. La nostra intercessione e la nostra solidarietà materiale accompagneranno quanti stanno cercando i sopravvissuti. Di fronte alla minaccia di una catastrofe nucleare che svela la fragilità della vita umana invochiamo il Dio del creato intero, che risparmi il peggio e ci aiuti ad affrontare con intelligenza le conseguenze di una tale eventuale devastazione. Diversi Salmi ci parlano di Dio come di una rocca sicura e stabile: possa questa rocca costituire un rifugio sicuro per tutti e tutte coloro che cercano oggi riparo dalla paura e dall’angoscia della morte". Segue la citazione del Salmo 61: "O Dio, ascolta il mio grido, sii attento alla mia preghiera. Dall'estremità della terra io grido a te, con cuore abbattuto; conducimi tu alla ròcca ch'è troppo alta per me; poiché tu sei stato un rifugio per me, una torre fortificata dinanzi al nemico".

La FCEI promuove campagne e raccolte di fondi in casi di emergenze umanitarie, che confluiscono nel fondo dell'Action by Churches Together (ACT) Alliance, agenzia umanitaria promossa dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) e dalla Federazione luterana mondiale (FLM) (actalliance.org). Chi volesse inviare delle donazioni può farlo utilizzando il seguente conto corrente postale specificando la causale "Giappone": ccp n. 38016002 - IBAN: IT 54 S 07601 03200 0000 38016002, intestato a: Federazione delle chiese evangeliche in Italia, via Firenze 38, 00184 Roma (www.fcei.it).


Giappone/2. Messaggi di solidarietà dal mondo ecumenico

Roma (NEV), 16 marzo 2011 - Appelli alla solidarietà con il popolo giapponese e alla preghiera per le vittime del terribile sisma e del successivo tsunami che l'11 marzo ha letteralmente spazzato via intere città sulla costa nord-orientale dell'arcipelago, sono giunti da numerosi organismi di chiese mondiali ed ecumenici. Tanti i leader religiosi che hanno mandato messaggi di vicinanza alla popolazione del Giappone così duramente colpito.

Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), da Seoul in Corea del Sud, dov'è attualmente in visita, il 12 marzo ha lanciato un appello alle chiese di tutto il mondo per pregare per il Giappone e la popolazione giapponese. "Siamo scioccati e tremanti, mentre vediamo quanto siamo vulnerabili come esseri umani di fronte a disastri di questa portata", ha dichiarato Tveit, che così prosegue: "Esprimiamo la nostra più profonda vicinanza e preghiamo per tutte le vittime, per le loro famiglie e per tutti quelli che ora vivono nel timore di ulteriori scosse. Preghiamo per coloro che hanno perso i loro cari o che non riescono a trovarli, per coloro che hanno perso le loro abitazioni o per chi deve affrontare l'impatto di questa enorme distruzione". Tveit rivolge un pensiero anche ai soccorritori "che in queste ore stanno affrontando un compito esigente". Dello stesso tenore gli appelli che arrivano dalle chiese di tutto il mondo, mentre si è messa in moto la macchina dei soccorsi, affiancata, tra le altre, delle tante Agenzie umanitarie cristiane, quali ACT-Action by Churches Together, ADRA, Esercito della Salvezza, BaptistWorldAid, World Vision, United Methodist Committee on Relief, Christian Reformed World Relief Committee.


tratto da: NEV Notizie Evangeliche
www.fcei.it 
in data: 18 marzo 2011

martedì 15 marzo 2011

STUDI DI STORIA DELLA RIFORMA PROTESTANTE IN VALLE D'AOSTA



DISSIDENZA RELIGIOSA E RIFORMA PROTESTANTE IN VALLE D'AOSTA 
Leo Sandro Di Tommaso 

Non si fa ricerca storica per glorificare un popolo, ma certamente il popolo valdostano è stato esaltato spesso dalla storia per eventi a cui non ha partecipato perché diretti dalle classi egemoni, magari contro il popolo e i suoi interessi. La Riforma in Valle d'Aosta si manifestò, con la vistosa eccezione delle parrocchie luterane, come silenziosa adesione e duratura resistenza di circa settanta anni e come esplosione inaspettata rispetto alla fisionomia religiosa della popolazione, del clero e dell'aristocrazia. Per questo essa appare come un fenomeno apparentemente inspiegabile, un'isola nel mare magnum della tradizione cattolica. Questo lavoro, sebbene si occupi soprattutto della storia della Riforma in Valle d'Aosta, cerca anche di restituire al pubblico dei lettori e degli studiosi la storia religiosa di questa zona dall'alto Medio Evo alla Controriforma, raffigurandola come un trittico che vede al centro incunearsi il settantennio inopinato della resistenza riformatrice, mentre ai quadri laterali si situano due lunghi periodi di ortodossia, in cui, prima e dopo la Riforma, l'unica o quasi manifestazione di devianza fu la stregoneria. Questo quadro rende specifica la Riforma in Valle d'Aosta, dandole caratteristiche che non si vedono e che si appiattiscono, se si inserisce questa fase della storia valdostana nell'ambito della Riforma in Piemonte.





- Leo Sandro Di Tommaso, 
Dissidenza religiosa e Riforma protestante in Valle d'Aosta
Roger Sarteur Editore, Aosta, 2008, pp. 248.










Introduzione di Leo Sandro Di Tommaso

Questo lavoro si occupa soprattutto della storia della Riforma in Valle d’Aosta, che, nonostante le somiglianze con le vicende piemontesi, ha una specificità che non permette di assimilarla semplicemente ad esse, come ha fatto qualche studioso, anche illustre, del passato .
Infatti la Riforma in questo territorio si manifestò prevalentemente, con alcune vistose eccezioni relative alle parrocchie divenute luterane, come silenziosa adesione e duratura resistenza di circa settanta anni e come esplosione inaspettata rispetto alla fisionomia religiosa della popolazione, del clero e dell’aristocrazia.
Per questo essa si presenta a prima vista come un fenomeno apparentemente inspiegabile, un’isola nel mare magnum della tradizione cattolica, un periodo eccezionale.
Inoltre occorre dire che, sebbene non si sia mai “instaurata” una Riforma in Valle d’Aosta, le adesioni segrete o pubbliche al luteranesimo serpeggiarono tra le file del clero e del popolo con vigore ed estensione tali da preoccupare moltissimo le autorità, inducendole a intervenire drasticamente.
Potremmo paragonare la storia religiosa della Valle d’Aosta dall’alto Medio Evo alla Controriforma a un trittico che vede al centro incunearsi questo settantennio inopinato, mentre ai quadri laterali si situano due lunghi periodi di ortodossia, in cui, prima e dopo la Riforma, l’unica o quasi manifestazione di devianza fu la stregoneria.
La prima parte di questa ricerca rivela che questa zona importantissima delle Alpi ha presentato un assetto politico ed ecclesiastico che può forse spiegare, da un lato, la sua immunizzazione dalle eresie vere e proprie, e, dall’altro, un tipo di devianza religiosa che è tradizionale in zone simili alla Valle d’Aosta.
Per questo ho pensato che l’analisi della storia religiosa valdostana anteriore alla Riforma dovesse comprendere, oltre a un’indagine sul particolare intreccio tra storia ecclesiastica e storia politica, un’inchiesta sul movimento valdese medievale, poiché il valdismo e il catarismo rappresentano la punta più avanzata e significativa della contestazione religiosa a partire dal XII secolo.
Tale raffronto consente di capire come il territorio valdostano, diversamente dalle zone contigue e da altre plaghe con strutture socio-economiche simili, sia stato impenetrabile ai movimenti ereticali più significativi.
L’inchiesta sul valdismo medievale si basa sul confronto delle tipologie processuali relative, da una parte, alla stregoneria e, dall’altra, all’eresia, sebbene la stregoneria comprenda anche la condanna per eresia, in riferimento al patto con Satana, e sebbene la valdesia sia stata a un certo punto sinonimo di stregoneria.
Questa parte introduttiva, quindi, costituisce il necessario background di tutta la vicenda valdostana della devianza religiosa dalla stregoneria del secolo XV alla Riforma luterana e calvinista, dalla repressione della Riforma alla Controriforma, con la conseguente chiusura della Valle d’Aosta all’apporto del pensiero e della cultura europea fino alla metà del XIX secolo, dalla nuova successiva ondata di processi per stregoneria alla nascita e al modesto ma tenace radicamento del valdismo ottonovecentesco in questa regione .

Stando almeno alle fonti finora disponibili, due assenze colpiscono subito chi osservi attentamente questo quadro di riferimento: nel territorio valdostano non vi sono stati né sintomi che facciano pensare a un movimento riformatore “ortodosso”, coevo alla cosiddetta “riforma gregoriana” (910-1122), né tracce di movimenti ereticali, soprattutto del catarismo e del valdismo, eresie prìncipi, ampiamente presenti sia in aree rurali sia soprattutto nelle città al di là e al di qua delle Alpi e, tra le Alpi stesse, in zone anche agricole .
Questa è la prima sorpresa, anche perché movimenti di tal genere sono apparsi, come avremo modo di osservare, in località non così lontane dalla Valle d’Aosta. Infatti il catarismo era già vivo e operante nel XII secolo nell’intera valle del Po, in molte altre zone anche dell’Italia centrale, in Germania (che, secondo qualche storico, sembra essere stata la sua culla ), in molte plaghe della Francia, ma soprattutto nel sud, zona di vasto e profondo radicamento.
Il valdismo, poi, dalla fine del XII e poi a partire dal XIII secolo, da Lione si era diffuso a macchia di leopardo, dopo il breve periodo in cui si era manifestato come movimento di rinnovamento all’interno della chiesa romana, non solo nelle stesse zone in cui operavano i catari, ma anche in territori diversi sia dell’Italia sia dell’Europa.
Queste due assenze (nel mio lavoro non tratto del catarismo, anche se indirettamente l’inchiesta che conduco dimostra che era assente anch’esso) sono comunque in rapporto tra loro poiché la chiesa di Roma, che aveva accettato movimenti di protesta popolare – quale, per esempio, la Pataria milanese –, ritenuta conclusa la sua azione riformatrice con il concordato di Worms del 1122, richiese il titulus (cioè la qualifica specifica di chierico: diacono, prete, vescovo, ecc.) sia per l’esercizio del ministero della parola, sia per le azioni pratiche contro i preti simoniaci o concubinari. Per questo man mano i Patari e altri gruppi confluirono in gran parte nei nuovi movimenti ereticali, quale quello valdese o quello degli Umiliati.
Quindi l’assenza in Valle d’Aosta di movimenti ereticali, a partire dalla fine del XII secolo e soprattutto nel corso dei secoli XIII, XIV e XV, forse può essere spiegata anche con il precedente vuoto di iniziative di riforma in linea con l’azione papale.
Naturalmente occorrerà studiare e analizzare questo primo vuoto, cercando anche di trovarne la ragione: questo sarà uno dei compiti del presente lavoro.

Ma la Valle d’Aosta non mancò all’appuntamento della Riforma: anzi – ed ecco la seconda sorpresa – intorno agli anni Venti del Cinquecento, cioè in esatta coincidenza con l’inizio della Riforma di Lutero, l’intero territorio valdostano fu attraversato, in modo non dissimile dalle zone vicine della Savoia, del Piemonte, della Francia e della Svizzera, da un vero vento riformatore.
Non si può non rimanere sconcertati nell’osservare come in una zona in cui, fino alle soglie del 1500, la devianza religiosa si era manifestata esclusivamente come stregoneria e che in seguito ancora si manifesterà in forme simili, all’improvviso e contrariamente a tutto quel suo passato “ortodosso”, esploda la Riforma protestante che, serpeggiando e penetrando tra le file del clero, tra i nobili, tra il ristretto ceto borghese e tra il popolo, conquistò ampi consensi, protraendosi a lungo nonostante la dura repressione.
Questo fatto rende specifica la Riforma in Valle d’Aosta, dandole caratteristiche che non si vedono e che si appiattiscono se si inserisce questa fase della storia valdostana nell’ambito della Riforma in Piemonte.
Questo non toglie nulla al fatto che i fermenti e i movimenti, gli uomini e le idee che si manifestarono in Piemonte siano stati più rilevanti, tanto più che si espressero anche con scritti e personaggi di indiscusso valore, con eventi di grande portata, come l’adesione alla Riforma delle popolazioni delle tre valli valdesi: si vuole solo dire che la Valle d’Aosta ebbe una sua specificità che va salvaguardata e non va confusa con quelle di altre zone.
Ci si può anche chiedere se la straordinaria adesione alla Riforma per un territorio molto “ortodosso”, quale quello valdostano, possa rimettere in discussione tutto l’apparato storico-ideologico edificato per spiegare, in modi anche opposti, il periodo che va dall’XI al XVI secolo.
Non so se il presente lavoro darà una risposta valida ed esaustiva a questa domanda, anche se si propone di farlo: dico solo che gli studi finora esistenti sulla Riforma protestante in Valle d’Aosta non hanno esaminato la questione nel suo complesso, hanno minimizzato o negato, contro le stesse fonti, il luteranesimo, confondendolo anacronisticamente con il calvinismo, autorizzati dalla falsificazione di un documento avvenuta durante l’episcopato di Martini (1611-1621), e infine e soprattutto, hanno dato ragione degli eventi partendo soltanto dal punto di osservazione della Controriforma.
È interessante notare come le fonti stesse non tendano a minimizzare il fenomeno: anzi, attribuiscono il rigoglio della Riforma in Valle d’Aosta soprattutto a una sorta di tradimento del clero, che si manifestava nella perversa abitudine della commenda nelle parrocchie, nelle stesse comunità monastiche e nei due capitoli cittadini, nelle lunghe assenze episcopali, sia per sede vacante sia per incarichi politici dei titolari dell’episcopato, e nel lassismo liturgico che spesso faceva registrare sia l’assenza di libri per i riti sia del tabernacolo eucaristico nelle chiese; insomma, nello stato di generale abbandono del ministero da parte del clero.
L’insieme di tutte queste carenze, ma soprattutto la loro lunga durata, contribuì a incancrenire la situazione, creando in molti elementi del clero, in alcuni aristocratici, in taluni notabili e nel popolo, il desiderio di rinnovamento: il malcontento sfociò in volontà di “changer religion”, come si esprime il vescovo storico Duc.
Vedremo comunque che altre ragioni, altre forze, e in particolare la nuova situazione “aperta” del territorio valdostano, contribuirono alla fioritura della Riforma.

Riguardo alla critica del taglio storiografico controriformista, cui accennavo in precedenza, dichiaro che la mia non vuole essere una condanna: sarebbe da stolti non contestualizzare gli studi storici di qualunque periodo, come lo è non contestualizzare gli eventi storici in generale.
Oggi, poi, possiamo capire la radice profonda di quella storiografia, che in parte si giustifica con il silenzio dei protagonisti protestanti. Facendo, infatti, riferimento all’evento più consistente in termini cronologici e numerici, quale fu la diffusione del luteranesimo dagli anni Venti del Cinquecento alla morte del vescovo Ginod, avvenuta il 26 febbraio 1592, si può notare che solo le istituzioni e alcune figure importanti di parte cattolica hanno lasciato una messe di testimonianze ancora oggi largamente note. Anzi, lo scenario in cui si mossero istituzioni e leader non solo sono conosciuti ma talora sono stati mitizzati con la ricostruzione di un processo che, oltre a configurarsi come marcia trionfale del cattolicesimo, alla fine consolidò – come vedremo parlando del Conseil des Commis – lo stesso assetto politico valdostano che – oggi lo si può dire – fu tutto a favore degli interessi delle classi dirigenti, compresa la scelta di non accostarsi ai cantoni elvetici: un’occasione storica unica, mancata.
Al contrario, di fronte a tale mole di testimonianze di parte cattolica, per la parte riformata le figure importanti, provenienti dalle file del clero, dell’aristocrazia e dello sparuto ceto borghese, appaiono solo come un elenco di persone dai contorni imprecisi, mentre degli appartenenti agli strati popolari ben poco si sa al di fuori delle testimonianze che ne parlano come di un numero consistente.
Questa parte non ha lasciato documenti scritti, per cui l'analisi dovrà cercare di svelare, oltre il silenzio dei vinti, fatti e circostanze almeno probabili, desumendoli proprio dalle ricostruzioni storiografiche di parte e quasi scavandone le fondamenta.
Altra questione di rilievo è quella delle narrazioni e ricostruzioni sulla presenza di Calvino in Valle d’Aosta, su cui si sono esercitati in passato storici ed eruditi cattolici e protestanti: in questo libro il problema sarà affrontato a partire dalla prima timida apparizione dell’aggettivo “Calvinium” al posto di “Lutheranum” nella copia “B” del Catalogus di Jean-Ludovic Vaudan (o Voudan, come lo stesso autore scrive talora il suo cognome). L’analisi della fonte vaudaniana cercherà di far luce sui motivi che possono aver spinto a correggere i testi originari, adattandoli alla costruzione della leggenda alla quale non credeva neppure Jean-Baptiste de Tillier.

Mentre la lunga durata dell’adesione alla Riforma è indice significativo di strenua resistenza, la vicenda dei protagonisti della Controriforma in Valle d’Aosta presenta un groviglio di intrecci politico-religiosi che la rendono, al suo interno, contraddittoria se non addirittura cangiante a seconda dei vari personaggi che si susseguono sulla scena politico-ecclesiastica valdostana.
Sarà proprio questo intreccio, insieme con il continuo rimando alla folla quasi anonima dei protestanti valdostani, a dare il taglio alla mia trattazione. La quale, quindi, si presenta strutturata con continui interscambi che cercano di restituire al lettore la dialettica tra la politica e la religione dei potenti, che spesso si scambiavano le parti, e quello che si riesce a intravedere della fede di coloro che volevano un cambiamento.
Questa impostazione non credo sia dissimile dalle storie della Riforma finora note, sebbene esse trattino anche gli aspetti più propriamente teologici; ma altrove i riformatori scrissero opere, dibatterono problemi, presero decisioni; elementi che, come si è detto, non si ritrovano nel pur vasto e radicato movimento riformatore valdostano.
Ma questa modesta storia di una Riforma “regionale” intende soltanto e semplicemente riflettere sulle peculiarità del movimento riformatore così come si manifestò in questo territorio.

Leo Sandro Di Tommaso



PREFAZIONE di Giuseppe Sergi

Dagli antichi insegnamenti universitari verso cui dimostra generosa gratitudine, Leo Sandro Di Tommaso avrebbe dovuto trarre due divieti: non occuparsi della regione che abita e, neppure, di temi che potessero sfiorare le scelte personali di fede. A molti sembrerà improponibile, ma lo storico perfetto è quello che prova il massimo disinteresse per l’oggetto delle sue ricerche. Invece l’autore di questo libro, dalla tesi di laurea fino ad anni recenti, non ha evitato quei terreni potenzialmente minati. Credo che l’abbia saputo fare nel modo più corretto e rigoroso possibile proprio perché consapevole della necessità di esorcizzare inclinazioni individuali e ambientali attivando, in più, una procedura che può dare frutti: la dialettica culturale fra individuo e ambiente.
Alla solida formazione filologica, alla scrupolosa propensione all’accertamento sistematico delle fonti e dei fatti, Di Tommaso ha infatti sempre aggiunto una positiva “cultura del sospetto”: sospetto verso ciò che si è sempre ripetitivamente affermato; sospetto verso sistemi di valori acriticamente condivisi; sospetto, soprattutto, verso l’uso pubblico e politico della storia.
Dunque l’autore di questo libro non è stato drastico nell’attenersi agli imperativi qui ricordati all’inizio, ma in un certo senso ne ha sempre mantenuto lo spirito. Come molti suoi colleghi (insegnanti e bibliotecari, archivisti e operatori culturali) ha dato e continua a dare all’Università la sensazione di essere utile in un modo diverso dal semplice conferimento delle lauree: con fili che non si interrompono, tratti di percorsi comuni fra docenti ed ex-allievi, produzione di ricerche che possono, senza affatto sfigurare, essere pubblicate in periodici scientifici.
Le pagine che seguono non sono tuttavia esito di una semplice applicazione di tecniche storiografiche imparate e progressivamente affinate. Sono il frutto di un metodo reso articolato e complesso da una ricerca personale di equilibrio fra schedatura delle fonti e stimoli delle proprie letture, non sempre erudite e non necessariamente specifiche. C’è, in questo, una trasparenza di cui può giovarsi il lettore, che invece di trovarsi alla prese con note adatte solo a iniziati, trova anche citazioni di Friedrich Engels e di Marc Bloch, antiche questioni della grande storia, poste dal primo, e conclusioni rimaste insuperate, raggiunte dal secondo.
Tre sono le domande a cui il libro intende rispondere: ci sono stati preannunci del movimento riformatore in Valle d’Aosta? Quali caratteri ha avuto questo movimento fra i secoli XV e XVII? Se non si hanno prove del passaggio di Calvino in valle, perché la sua presenza è entrata a far parte di una sorta di mito fondativo della regione?
La prima domanda ha dato luogo a un consistente numero di pagine dedicate al medioevo, dal secolo XI al XIV. Troviamo due nozioni di ortodossia: quella romana - sviluppata dalla riforma gregoriana del secolo XI - e quella della ricerca dottrinale da parte di movimenti di fedeli che antepongono la perfezione all’obbedienza, l’ansia di salvezza all’accettazione di compromessi istituzionali: e di questi movimenti la Valle d’Aosta sembra priva. Prima l’assenza di mobilitazioni pauperistiche assimilabili alla Pataria lombarda, poi l’agire convergente di poteri laici ed ecclesiastici, spiegano una lettura tutta in chiave di stregoneria di tutte le manifestazioni ereticali che dovevano essere perseguite: trasmesse dalle fonti, dunque, non come fermenti religiosi, bensì come vere e proprie forme di devianza. Nel Quattrocento valdostano - secondo uno schema reperibile anche nella Svizzera Romanda e in Savoia - la definizione “valdese” non aveva valore specifico, ma era applicata a presunte attività stregonesche.
Di Tommaso compie un’indagine iniziale, su più di quattro secoli, senza cedere alla tentazione di cercare sviluppi unidirezionali. Si è attenuto a una redditizia procedura: individuare campi cronologici posti, sì, in successione, ma valorizzati soprattutto per allargare volta per volta il contesto, mai esclusivamente valdostano e, al tempo stesso, mai desunto passivamente dalla storia generale. Dà il giusto peso a un diminuito interesse sabaudo, dopo Umberto III, per i poli ecclesiastici dell’abbazia di St.-Maurice-d’Agaune e della sede vescovile di Aosta, che hanno in parte perduto il precedente ruolo di radicamento e di legittimazione. Rileva, sul piano della vita associata e dei rapporti fra nobiltà e ceto mercantile, un adeguamento valdostano alla temperie sociale complessiva (in particolare del regno italico) con almeno mezzo secolo di ritardo. Valorizza giustamente alcuni decenni che la migliore ricerca sul dissenso religioso ha individuati come cruciali: quelli compresi fra il Dictatus Papae di Gregorio VII (1075) e il concordato di Worms del 1122, aiutandoci a ricordare che non bisogna essere precipitosi nel sovrapporre l’affermazione del centralismo romano e la lotta per le investiture.
Nel Trecento la Valle d’Aosta non era stata neppure luogo di rifugio per i Dolciniani, e questa constazione accompagna l’autore verso la seconda domanda e verso la parte centrale del suo lavoro: dall’assenza di preannunci medievali di dissidenza religiosa alle espressioni locali della Riforma e della Controriforma nella prima età moderna. Non è una semplice successione cronologica: quell’assenza spiega alcuni caratteri della riforma valdostana e del suo superamento. Il successo della nuova predicazione fu immediato e notevole, forse per la grande quantità di diritti politici in mano alle chiese, sicuramente perché i fedeli lamentavano l’assenteismo dal lavoro pastorale di molti chierici, impegnati a occuparsi dei proventi delle cariche ecclesiastiche assegnate per commenda. Il quadro socio-politico del Cinquecento valdostano appare cristallizzato, carente di borghesia e saldo nel suo inquadramento entro il principato sabaudo: non solo non ci sono le condizioni per l’importazione di un modello cantonale di tipo elvetico, ma la fortuna iniziale della riforma non si può attribuire a ‘responsabilità’ esterne, secondo un’ispirazione “gallicana”, bensì a predicazioni provenienti dal mondo stesso dei fratres cattolici, in particolare da Ivrea.
Di Tommaso - grazie anche alla sua capacità di tener conto, insieme, di uno “scenario geo-politico” non limitato alla valle ma anche di valutare le specifiche attestazioni locali - ci introduce al tema della gradualità e della provvisorietà. Parrocchie che passano “a una forma di luteranesimo” testimoniano di fasi in cui non si sta da una parte o dall’altra, in cui non ci sono repentine conversioni di massa, in cui si sperimentano forme di vita religiosa in cui sono ampie le aree grigie fra due diverse concezioni dell’ortodossia. Poi, a metà del Cinquecento, i protestanti valdostani si rifugiano nel silenzio, e da lì al primo Seicento la Controriforma non si limita a un’azione di recupero, conduce una vera lotta, con poteri coordinati fra loro perché il contesto regionale lo consente: il vescovo Pietro Gazino, il visconte René de Challant, il duca Emanuele Filiberto. Si costruisce la “cittadella della cattolicità” che funge da barriera, interrompendo i suoi rapporti con la Svizzera.
Grazie a tutte queste acquisizioni, la terza domanda (sulla leggenda dotta della presenza di Calvino in valle nel 1536) dà occasione di un vero esercizio di metodo. Perché Duc, in particolare, voleva negare fermenti protestanti locali precedenti il 1536 (e si vede in questo libro che aveva buone ragioni), ma voleva anche sostenere una generale refrattarietà valdostana (non vera, invece) rispetto al dissenso religioso, di cui gli piaceva sottolineare il carattere d’importazione. Curiosamente, in questa operazione di fondamento di un mito fra Seicento e Ottocento, si realizzò una convergenza con gli storici protestanti. Anch’essi istintivamente volevano nascondere qualcosa: per valorizzare la grande itineranza della predicazione - e il peso dei centri transalpini di elaborazione dottrinale - occorreva mettere tra parentesi l’attività più locale dei predicatori eporediesi e dei parroci sperimentatori. Dall’una e dall’altra parte, dunque, storia ‘usata’, piegata a fini propagandistici, da diversi fronti in grado di fornire materiale per un’unica costruzione identitaria. Di Tommaso ci accompagna in una visita ‘nella’ storia ma anche ‘sulla’ storiografia: con lo scopo del necessario restauro della sua neutralità.

Giuseppe Sergi




Postfazione di Paolo Papone:

Davvero benvenuto il lavoro di Leo Sandro Di Tommaso! La storiografia valdostana ha una tradizione antica, e pertanto presenta i pregi e i difetti di chi deve fare i conti con una eredità cospicua e stratificata. Ci furono tempi nei quali il racconto storico si impastava anche con i "si dice" e – quando era in gioco la religione – con l'argomento teologico della "convenienza", ovvero, considerando il contesto e la presunta statura morale dei personaggi, la convinzione che lo sviluppo degli eventi non potesse non seguire una certa logica, anche se nessun dato veniva a suffragarla. È chiaro che in tale prospettiva entrava una massiccia dose di soggettività arbitraria a condizionare non soltanto le valutazioni, ma anche la narrazione dei fatti. Oggi ci sentiamo più smaliziati, nonché fortunati fruitori di archivi finalmente ordinati, e tuttavia non siamo affatto convinti di poter attingere la reale oggettività dei fatti. Per avvicinarci un po' di più a questa meta, pare che non vi sia alternativa al dialogo tra prospettive diverse. Ecco perché accogliamo con gratitudine questa ricerca, questa nuova fatica editoriale.
In fondo, coloro che, poco o tanto, hanno percorso i sentieri della storia valdostana, soprattutto in chiave religiosa, si riconoscono tutti eredi di mons. Joseph-Auguste Duc, dalla cui opera monumentale hanno attinto e bevuto con labbra ora voraci, ora schifiltose. Perché i dieci volumi dell'Histoire de l'Eglise d'Aoste sono come le chiese costruite durante l'episcopato di mons. Duc: magniloquenti, verrebbe da dire esagerate, trionfalistiche, comprensibili come risposta a un clima socio-culturale che cercava di ridimensionare i vari aspetti della presenza della chiesa cattolica. Con questa impostazione, la storiografia di impronta duchiana ovviamente non andava in ricerca delle voci critiche, oppure le ridimensionava, facendone episodi marginali che non mettevano in pericolo la massiccia unità di fede e di morale del popolo valdostano.
Per far risaltare il colore della riforma protestante nella trama della storia valdostana, era proprio necessaria una voce riformata, quella che risuona in queste pagine. Si tratta di un lavoro insostituibile, per il fatto che nessun cattolico (ma anche nessun ateo o agnostico) si è finora occupato a fondo né forse si occuperà di una realtà, quella della riforma in Valle d'Aosta, che, stando ai numeri, non parrebbe avere grande rilevanza, mentre, guardata da un'altra prospettiva, diventa una cartina di tornasole delle dinamiche interne sociali, religiose e politiche di un segmento importante della nostra storia.
Proprio come nel leggere il vescovo Duc, anche qui si potrebbe sospettare troppa parzialità, opposta ma uguale a quella dell'illustre predecessore. Invece l'acribia storica di Leo Sandro Di Tommaso non è inficiata dal suo entusiasmo, perché il suo "interesse" è palesato fin da subito: il lettore non fatica a "far la tara", mentre viene utilmente e vivacemente stimolato a evitare una ottusa ripetizione del già detto. Proprio da cattolico, come rappresentante ordinato di quella chiesa cattolica che nel XX secolo ha perso gran parte della gloria mondana che fino a poco prima la assomigliava e la associava ai poteri di questo mondo, e che ora si è riconosciuta un po' più libera di camminare sulle vie del vangelo, leggo con molto interesse queste pagine, come uno che dalla sua finestra guarda un grande albero e chiede al dirimpettaio di raccontargli che cosa vede, di quell'albero, dalla sua finestra. Nel raccontarci vicendevolmente quel che vediamo, entrambi conosciamo molto meglio la realtà.

Paolo Papone



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BIOGRAFIA

Leo Sandro Di Tommaso 



Leo Sandro Di Tommaso, insegnante e ricercatore, ha pubblicato saggi di medievistica (Comunità cittadina e potere signorile nell'Aosta medievale in Aosta; La vicenda storiografica delle franchigie aostane), e ricerche sulla dissidenza religiosa (La Riforma protestante in Valle d'Aosta. Una lunga e silenziosa resistenza tra guerra e neutralità armata in un crocevia dell'Europa; Calvino ad Aosta. Nascita e sviluppo di una leggenda politico-religiosa; Valdesi in Valle d'Aosta. Percorsi religiosi e culturali di una minoranza religiosa radicata nel territorio [1848-1950, 1951-2001]). I saggi sulla Riforma e su Calvino sono confluiti, dopo una puntuale revisione e con l'aggiunta della prima parte, nel volume che ora avete sotto mano. L'autore è membro del CRISM (Centro di Ricerca sulle Istituzioni e le Società Medievali) e del gruppo valdostano di corrispondenza del Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino. Ha tenuto conferenze e scritto articoli di carattere storico, teologico e letterario, tra cui: Airesis/Eresia: le vie della ricerca della verità nelle eresie. I casi del valdismo e del catarismo; Il dissenso religioso in Valle d'Aosta in tre fasi cruciali della storia europea. Dalla devianza stregonica alla presenza valdese (secolo XII-metà del secolo XIX). Due saggi sono stati pubblicati nei Seminari della Fondazione Federico Chabod, di cui è stato presidente.
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DISSIDENZA RELIGIOSA E RIFORMA PROTESTANTE

Dopo i vari saggi usciti dagli anni Ottanta fino a oggi e il volume sui Valdesi in Valle d’Aosta, vede la luce in questi giorni un nuovo libro di Leo Sandro Di Tommaso, intitolato: Dissidenza religiosa e Riforma protestante in Valle d’Aosta. Il volume, edito dalla giovane casa editrice Roger Sarteur (che con questo libro aggiunge un nuovo ramo ai suoi prodotti), sarà presentato in Vescovado il 9 dicembre alle 17.30: presentazione significativa dello spirito ecumenico attribuito al lavoro di questo autore, di cui fa fede la Postfazione di Don Paolo Papone, mentre le prerogative scientifiche sono certificate, oltre che dallo stesso Papone, soprattutto dalla Prefazione dell’insigne medievista Giuseppe Sergi, da cui traiamo l’impianto per questa segnalazione.
Dice Sergi che Di Tommaso ha scritto pagine che “non sono esito di una semplice applicazione di tecniche storiografiche […], ma frutto di un metodo reso articolato e complesso da una ricerca di equilibrio fra schedatura delle fonti e stimoli delle proprie letture, non sempre erudite e non necessariamente specifiche”. “C’è, in questo - prosegue Sergi - una trasparenza di cui può giovarsi il lettore, che invece di trovarsi alla prese con note adatte solo a iniziati, trova anche citazioni di Friedrich Engels e di Marc Bloch, antiche questioni della grande storia, poste dal primo, e conclusioni rimaste insuperate, raggiunte dal secondo”.
Tre sono le domande a cui il libro intende rispondere: ci sono stati preannunci del movimento riformatore in Valle d’Aosta? Quali caratteri ha avuto questo movimento fra i secoli XV e XVII? Se non si hanno prove del passaggio di Calvino in valle, perché la sua presenza è entrata a far parte di una sorta di mito fondativo della regione?
Di Tommaso risponde alla prima domanda “con un consistente numero di pagine dedicate al medioevo, in cui la Valle d’Aosta appare priva di mobilitazioni pauperistiche assimilabili alla Pataria lombarda, mentre l’agire convergente di poteri laici ed ecclesiastici spiegano una lettura tutta in chiave di stregoneria di tutte le manifestazioni ereticali che dovevano essere perseguite”.
Per questo – ed ecco la risposta alla seconda questione – il successo della nuova predicazione riformata, immediato, notevole e straordinariamente coèvo agli eventi europei, appare come un’isola nel mare magnum dell’ortodossia precedente. Il quadro socio-politico del Cinquecento valdostano appare cristallizzato, carente di borghesia e saldo nel suo inquadramento entro il principato sabaudo: “non solo non ci sono le condizioni per l’importazione di un modello cantonale di tipo elvetico, ma la fortuna iniziale della Riforma non si può attribuire a ‘responsabilità’ esterne, secondo un’ispirazione ‘gallicana’, bensì a predicazioni provenienti dal mondo stesso dei fratres cattolici, in particolare da Ivrea”. L’autore - grazie anche alla sua capacità di tener conto, insieme, di uno “scenario geo-politico” non limitato alla valle ma anche di valutare le specifiche attestazioni locali - ci introduce al tema della gradualità e della provvisorietà. Parrocchie che passano “a una forma di luteranesimo” testimoniano di fasi in cui non si sta da una parte o dall’altra, in cui non ci sono repentine conversioni di massa, in cui si sperimentano forme di vita religiosa in cui sono ampie le aree grigie. I protestanti valdostani si rifugiano nel silenzio, mentre fino al primo Seicento il cattolicesimo conduce una vera lotta con poteri coordinati fra il vescovo Pietro Gazino, il visconte René de Challant e il duca Emanuele Filiberto. Si costruisce la “cittadella della cattolicità” che funge da barriera, interrompendo i suoi rapporti con la Svizzera.
La risposta alla leggenda di Calvino è “un vero esercizio di metodo”. Duc, in particolare, voleva negare fermenti protestanti locali precedenti il 1536 (e si vede in questo libro che aveva buone ragioni), ma voleva anche sostenere una generale refrattarietà valdostana (non vera, invece) rispetto al dissenso religioso, di cui gli piaceva sottolineare il carattere d’importazione. Curiosamente, in questa operazione di fondazione di un mito, fra Seicento e Ottocento si realizzò una convergenza con gli storici protestanti. Per valorizzare la grande itineranza della predicazione e il peso dei centri transalpini di elaborazione dottrinale, essi misero tra parentesi l’attività locale dei predicatori e dei parroci sperimentatori. Dall’una e dall’altra parte, dunque, storia ‘usata’, piegata a fini propagandistici, da diversi fronti in grado di fornire materiale per un’unica costruzione identitaria. Di Tommaso ci accompagna in una visita ‘nella’ storia ma anche ‘sulla’ storiografia: con lo scopo del necessario restauro della sua neutralità.



tratto dal sito: www.rogersarteur.com