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domenica 30 dicembre 2012

Culti Evangelici ad Aosta Valdese


Calendario Culti
AOSTA Valdese
Via Croix de Ville, 11
ore 10.30


gennaio 2013

Domenica   6     P.M. BOUMAN       EPIFANIA


Domenica 13     A. FERREIRA SANTOS
Culto di Rinnovamento del Patto     Liturgia a cura di M. ABBÀ


Domenica 20     V. MONAJA  


Domenica 27     M. ABBÀ



febbraio  2013

Domenica    3   M. ABBÀ

Domenica  10   M. ABBÀ

Domenica  17   L.S. DI TOMMASO 


Domenica  24   M. ABBÀ




Cena del SIGNORE
     Domenica 20 gennaio                   Domenica 17 febbraio


Tu m’insegni la via della vita; vi sono gioie a sazietà in tua presenza; alla tua destra vi son delizie in eterno
Salmo 16,11

lunedì 24 dicembre 2012

25 dicembre Il mondo giudicato e redento

Se Dio fa di Maria uno strumento, se Dio stesso vuole venire in
questo mondo nella mangiatoia di Gerusalemme,  allora questo
non è un idilliaco quadretto familiare, ma l'inizio di un totale
rivolgimento, di un nuovo ordine di tutte le cose di questo mondo.
Se vogliamo partecipare all'Avvento e al Natale, allora non potremo
fare soltanto gli spettatori come a teatro, in cui stiamo da una parte
e ci gustiamo lo spettacolo, ma saremo trascinati nell'azione che si svolge,
in questo rivolgimento di tutte le cose. Qui dobbiamo recitare anche noi
sulla scena, qui lo spettatore è sempre un personaggio dello spettacolo,
qui non possiamo sottrarci.
   Che parte recitiamo? quella dei pii pastori che s'inginocchiano?
dei magi che portano doni? che cosa si rappresenta dove Maria è la
madre di Dio, dove Dio viene al mondo in una mangiatoia?
Il mondo viene giudicato e redento, ecco che cosa accade qui;
e il Cristo bambino, che è nella mangiatoia, è colui che mette in atto il
giudizio e la redenzione, che rimanda a mani vuote i grandi e i potenti,
che rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili, stende il suo braccio
potente sui superbi e i forti, eleva ciò che è basso, magnificandolo e
glorificandolo nella sua misericordia.

                                                                    DBW 13,340s.

Dietrich Bonhoeffer,
Voglio Vivere Questi Giorni con Voi,
a cura di Manfred Weber,
Editrice Queriniana, Brescia, 2007, pp. 416;
traduzione dal tedesco di Andrea Aguti e Guido Ferrari;
- il testo citato è a p. 399.

venerdì 21 dicembre 2012

1517-2017: speranze di Riforma


LA RIFORMA PROTESTANTE: UN FALLIMENTO?

di Fulvio Ferrario, 

docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia

Il prof. Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia, prende posizione nei confronti di un'affermazione del card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Questi infatti, facendo riferimento alle celebrazioni nel 2017 del Cinquecentenario della Riforma protestante, sostiene che, malgrado le buone intenzioni di Lutero, la riforma come fenomeno religioso abbia fallito e propone una celebrazione penitenziale comune. Il prof. Ferrario afferma che qualora si debba parlare di fallimento questo va inteso nel senso che la Riforma non è riuscita a rinnovare l’intera chiesa. 

La Riforma protestante: un fallimento?
di Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia

La Chiesa cattolica e il Cinquecentenario della Riforma protestante

Sembra stia diventando un chiodo fisso: il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, torna sul tema della Riforma o, più precisamente, della “divisione” che essa avrebbe determinato nel XVI secolo: "il teologo ed ecumenista Wolfhart Pannenberg afferma che la Riforma ha fallito e il risultato di questo fallimento sono state le sanguinose guerre di religione nel XVI e XVII secolo". Lutero aveva buone intenzioni, ma volerle unire alle "conseguenze terribili della Riforma nella stessa celebrazione festosa, mi sembra molto difficile". Responsabili del fallimento, tuttavia, sarebbero "entrambe le parti"; si potrebbe, dunque, commemorare insieme il Cinquecentenario della Riforma nel 2017 con una "celebrazione penitenziale comune nella quale riconosciamo insieme le nostre colpe". Mi permetto di dirlo con franchezza: un valdese italiano, che apprende da un esponente della curia romana che, ad esempio, la "soluzione finale" del problema protestante in Italia, tentata appunto tra XVI e XVII secolo, sarebbe una "conseguenza terribile della Riforma", ha qualche difficoltà a esprimere un commento sereno.

Dopo aver tirato un profondo respiro, tuttavia, si può forse provare a ragionare pacatamente. Da qualche decennio, Lutero è diventato "buono". Che però esista, in Occidente, un altro modo di essere chiesa, questo no; e se c’è, non è tale "in senso proprio". Sentirselo dire, può non far piacere. In fondo però, che la chiesa della Controriforma la pensi così, non dovrebbe stupire; e che poi in questo contesto sia possibile citare un teologo luterano come Pannenberg, dispiace ancora di più, ma nemmeno questo meraviglia del tutto. Ma vediamo di entrare nel merito.
In un certo senso, anzi, in più di uno, si può certo affermare che la Riforma abbia fallito. Ha fallito in quanto non è riuscita a rinnovare l’intera chiesa, a causa della reazione papale; ha fallito, soprattutto, come fallisce ogni impresa umana, anche la più santa e benedetta, in quanto comunque segnata dal peccato; la Riforma non ha riformato abbastanza e non ha sempre riformato bene; e la chiesa riformata secondo la Parola di Dio può riconoscere tali fallimenti, perché non soffre del delirio dell’infallibilità. Da questo punto di vista, la dimensione penitenziale non deve certo mancare nemmeno nel 2017: ogni trionfalismo sarebbe fuori luogo.
Il contrario del trionfalismo, in questo caso, è un’immensa, infinita gratitudine. Gratitudine a Dio per il dono della Riforma: per il dono di una fede vissuta, per quanto indegnamente, nel segno della libertà; per il dono della Scrittura letta in una comunità di sorelle e di fratelli; per il dono dell’annuncio di un Dio sconsideratamente misericordioso, talmente misericordioso da voler trarre anche me dalla mia fogna di peccato; per il dono di una chiesa rinnovata, dove non ci si interroga sul "ruolo dei laici", ma nella quale i "laici" (e le laiche) sono la chiesa; per il dono di poter vivere l’etica nella responsabilità, sapendo di poter sbagliare, ma tentando appassionatamente di non farlo e rischiando vie nuove, anche a costo di scandalizzare i benpensanti (esistono precedenti autorevoli); per il dono di una teologia che può pensare e parlare con franchezza, senza l’incubo di un’occhiuta sorveglianza di polizia spirituale, che si arroga il monopolio di ciò che essa chiama "servizio alla verità"; per il dono di un ministero che anche le mie sorelle condividono, aiutandomi nel tentativo di uscire dalle pastoie di una mentalità maschilista che soffoca anche i maschi. E’ probabilmente vero che il protestantesimo di questo inizio del XXI secolo attraversa una fase di grave difficoltà: la libertà dell’evangelo gli consente di riconoscerlo senza nascondersi in un gergo chiesastico e falsamente pio e anche di lasciarselo dire dalle gerarchie romane, lasciando tranquillamente aperta la questione se esse abbiamo o meno i titoli per farlo. Ma che oggi ancora esista una chiesa della Riforma, anzi, molte chiese diverse e in comunione (una realtà, questa, che il card. Koch e altri con lui faticano a comprendere e che per questo rimuovono), questo è un dono grande, che si può ricevere solo con commozione e passione di fede, e che cambia la vita, riempiendola di gioia.
Per questo io spero che le chiese protestanti di tutto il mondo sappiano ricordare il quinto centenario della Riforma della chiesa secondo la parola di Dio, nel 2017. Mi si dice che molti ambienti evangelici tengono parecchio a che ciò accada insieme alla chiesa di Roma. Sarebbe bello, io credo, se si potesse, insieme, rendere grazie dal profondo dell’anima al Dio che ha riformato la chiesa aprendole un futuro che milioni di donne e uomini hanno vissuto e possono vivere con passione grande. Non sono sicuro, leggendo le reiterate affermazioni del card. Koch, che lo spirito delle gerarchie romane sia esattamente questo. In tal caso, la gratitudine per la Riforma potrà essere solo la nostra. Senza polemica, senza astio, senza rivendicare, contro altri, alcuna "pienezza" protestante "dei mezzi di grazia". Ricorderemo la Riforma senza celebrarla: essa, infatti, voleva celebrare Cristo soltanto.


tratto da NEV - Notizie evangeliche del 21 novembre 2012

si veda anche il sito: www.chiesavaldese.org
 

martedì 18 dicembre 2012

La Bibbia: Racconto di Dio nella Storia



La storia nella Bibbia e la Bibbia nella storia

La Bibbia come fonte storica e il contributo dell'archeologia
La natura della storia biblica
Le riletture della storia biblica nella storia

La Bibbia è il racconto di un Dio che, rivelandosi nella storia, accetta di farsi raccontare secondo una prospettiva storica. Accostarsi alla Bibbia come a un racconto storico che confermi la storicità dei fatti narrati o, viceversa, considerarla un insieme di leggende prive di fondamento storico significa tuttavia condannarsi a una lettura fuorviante.
L'autore affronta in queste pagine la duplice dimensione della storia nella Bibbia e della Bibbia nella storia, facendo il punto sul dibattito storiografico, sui rapporti tra storia e fede e sulla liceità dell'utilizzo della Bibbia come fonte storicamente attendibile.


Il libro
Luciano Zappella
Bibbia e storia
pp. 190
Bibbia, cultura, scuola, 4
f.to cm 14,5 x 21


tratto da: 

lunedì 17 dicembre 2012

C'è un aldilà per gli Animali?


DIALOGHI CON PAOLO RICCA

«Fido» è morto: che ne sarà di lui?

Nei giorni scorsi è morto il mio cane: una cardiopatia associata a un edema polmonare lo ha stroncato nel giro di poche (ma quanto sofferte!) ore di agonia. Vorrei sapere: per i nostri animali domestici, c’è speranza? La loro fine segna il loro definitivo distacco dalla vita? Saranno tutti, e per sempre, dissolti nel nulla? Non li rivedremo mai più? Che senso ha, allora, il loro dolore? Il cristianesimo non ha nulla da dire su di loro e per loro? Grazie.
Andrea Guercio – Mombercelli (Asti)



«"Fido" è morto: che ne sarà di lui?» – così ho riassunto la lettera del nostro lettore, che pone una bella domanda, ahimé alquanto trascurata dalla teologia cristiana sia classica sia moderna, con pochissime eccezioni. La prima è ovviamente quella di Francesco d’Assisi (1182-1226), che secondo quanto scrive il suo primo biografo Tommaso da Celano «chiama col nome di fratello tutti gli animali, benché in ogni specie prediliga quelli mansueti». Una seconda eccezione è Albert Schweitzer (1875-1965), che riassunse la sua vita e il suo pensiero nel principio del «rispetto per la vita» in ogni sua manifestazione: «Un uomo è morale soltanto quando considera sacra la vita come tale, quella delle piante e degli animali tanto quanto quella dei suoi simili, e quando si dedica ad aiutare ogni vita che ne ha bisogno». Una terza eccezione è Karl Barth (1886-1968), che nella sua Dogmatica ha dedicato agli animali (ma anche alle piante) molte pagine estremamente suggestive e istruttive, nel quadro della dottrina della creazione, ma non solo. Queste eccezioni, purtroppo, non hanno fatto scuola. La pur bella e pregevole Encyclopédie du protestantisme pubblicata a Ginevra e Parigi in prima edizione nel 1995 e in seconda «rivista, corretta e accresciuta» nel 2006, contiene una voce sugli angeli (il che va benissimo), ma non una sugli animali e tanto meno sulle piante (il che va malissimo). Speriamo in una terza edizione ulteriormente «corretta e accresciuta» che contenga queste voci ora mancanti. La loro mancanza rivela una lacuna, per non dire un vuoto, che sta dentro di noi. Anche la Dogmatica in tre volumi di Gerhard Ebeling, peraltro eccellente, parla molto della Natura, ma non specificatamente di animali e piante. Ne parla invece il nostro lettore, con una domanda molto specifica: c’è un aldilà per gli animali? (per quelli «domestici», dice lui, ma io allargherei il discorso a tutti).

La sua domanda però ne contiene molte altre, a cominciare da quella fondamentale della differenza tra l’uomo e l’animale, molto netta nel racconto biblico, che parla di un «dominio» dell’uomo sugli animali (Genesi 1, 28). Va però precisato che questo dominio, comunque fatale per gli animali, non comportava, all’inizio, il diritto dell’uomo di uccidere gli animali per cibarsene. Questo diritto venne affermato solo più tardi, dopo il diluvio (Genesi 9, 3). La differenza tra l’uomo e l’animale è stata espressa, tra gli altri, in termini classici da Tommaso d’Aquino il quale, pur sostenendo che Dio è in qualche modo «presente» in tutte le cose da lui create, quindi anche negli animali, afferma però che tutti gli animali, anche quelli superiori, sono «situati a grande distanza dall’immagine di Dio» (longe a similitudine divina remota), «mentre l’uomo si dice formato "a immagine e somiglianza" di Dio». La differenza, secondo la tradizione biblica, è questa, ed è grande. In altre tradizioni religiose invece, soprattutto orientali, la differenza sembra meno netta, tanto che in quelle che credono nella reincarnazione (il Buddismo e alcune correnti dell’Induismo) la differenza è così labile che l’anima dell’uomo può cadere così in basso da finire, almeno provvisoriamente, nel corpo di un animale – dottrina, questa, impensabile nel quadro del pensiero biblico.
Detto questo, resta però il fatto innegabile – tutti lo sanno, ma non sempre lo ricordano – che l’uomo è un mammifero come tanti altri animali, è dunque anche lui anzitutto un animale. Aristotele lo definiva animale «razionale» (in greco loghikòn) e «politico» (in greco: politikòn), ma pur sempre un animale. Prima di lui già il racconto biblico della creazione aveva significativamente accostato l’uomo al mondo animale, collocando la sua creazione non in un giorno speciale riservato a lui solo, ma associandolo nello stesso giorno, il sesto, alla creazione degli animali terrestri. Prima di parlare della differenza, occorrerebbe dunque illustrare la vicinanza e comune appartenenza delle due condizioni, quella animale (che tra l’altro ha la precedenza nell’ordine della creazione) e quella umana (che segue). In questo quadro non è forse inutile riferire una considerazione di carattere generale sul rapporto uomo-animali fatta dallo scrittore francese Montaigne (1533-1592), segnalatami dal pastore Angelo Cassano di Locarno (Ticino), che ringrazio. Nei suoi celebri Essais Montaigne rimprovera all’uomo il suo orgoglio e la sua presunzione quando si arroga il diritto di giudicare gli animali: «Come può l’uomo conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo con la mia gatta, chi sa se essa non faccia di me il suo passatempo più di quanto io faccia con lei?». Noi li consideriamo bestie; forse anche loro ci considerano bestie. In fondo, comprendiamo poco di loro, come loro comprendono poco di noi. Perciò «bisogna che osserviamo la parità che c’è tra noi. Noi comprendiamo approssimativamente il loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco nella stessa misura». Dunque, dice Montaigne, il rapporto uomo-animali non va impostato in termini di superiorità e inferiorità, ma di parità. Queste considerazioni ci introducono bene alla domanda del nostro lettore: «C’è un aldilà per gli animali?».

A questa domanda non c’è, che io sappia, nella Sacra Scrittura, che è la nostra guida e norma nelle questioni di fede e vita, una risposta diretta ed esplicita. Ci sono però tre ordini di pensieri che consentono una risposta relativamente sicura, benché indiretta. Il primo è la creazione, il secondo è il patto, il terzo è la promessa messianica.

1. Nella visione biblica la creazione è anzitutto creazione di animali (e piante). L’uomo viene dopo, ed è confinato sulla terra, mentre gli animali popolano anche il cielo e il mare. Come sarebbe vuoto il creato se ci fosse solo l’uomo! Non sarebbe il creato uscito dalle mani di Dio. Un creato senza animali è biblicamente impensabile. Ecco perché insieme a Noè vengono salvati nell’arca anche gli animali: questo può valere come figura di una salvezza comune. Persino il Mar Morto, secondo il profeta Ezechiele, non resterà per sempre morto e quindi senza pesci: dal Tempio uscirà un torrente che vi si immergerà rendendo le sue acque «sane» (47, 5) e quindi anch’esse popolate di animali marini (v. 9). Insomma, gli animali fanno parte integrante della creazione, e non c’è alcun motivo per ritenere che non facciano parte (in forme che, certo, non possiamo immaginare) della nuova creazione, cioè di un nuovo cielo e una nuova terra (il mare, a quanto pare, purtroppo, non ci sarà più, secondo Apocalisse 21, 1, a meno di una bella sorpresa finale; comunque ci sarà un grande fiume e acqua in abbondanza).

2. Non solo gli animali sono benedetti da Dio, come la coppia umana, in vista della procreazione (Genesi 1, 22 e 28), ma essi sono inclusi ed esplicitamente menzionati nel Patto che Dio stabilisce con Noè, il cui simbolo è l’arcobaleno (Genesi 9, 8-17). Questo patto è «perpetuo» (v. 16) e il suo contenuto è la vita che, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, non sarà più distrutta. Chi è nel Patto – e gli animali ci sono – non è nella morte, ma nella vita. L’uomo e gli animali sono ugualmente mortali (Ecclesiaste 3, 19-21!!), ma, in virtù del Patto, la loro morte non è definitiva.

3. Secondo Isaia 11, 6-9 la promessa messianica è un mondo animale riconciliato al suo interno («il lupo abiterà con l’agnello») e con l’uomo («il lattante si trastullerà sul buco del serpente»). Questa promessa, che associa uomini e animali, può essere collegata con il discorso di Paolo sulla creazione che ora è «sottoposta alla vanità», cioè alla morte, e perciò «geme insieme ed è in travaglio», ma «sarà anch’ella liberata dalla servitù della corruzione», cioè restituita a una vita senza la morte dentro (Romani 8, 20-23). In questa creazione liberata, come ho detto al punto 1, ci sono anche gli animali.
C’è dunque speranza per «Fido»? Sì, come c’è per il suo padrone e per tutti. C’è però una sottile insidia che può annidarsi nella domanda del nostro lettore e che è bene segnalare. L’insidia è di considerare l’Aldilà una sostanziale fotocopia dell’Aldiquà e il mondo futuro una semplice replica (migliorata) di quello attuale. Sarà invece un mondo nuovo, e non si insisterà mai abbastanza sulla portata di questo aggettivo. I rapporti tra le persone e quelli con gli animali non saranno più quelli odierni, ma saranno trasfigurati, cioè trasformati in rapporti completamente diversi, luminosi, trasparenti, felici, perché saranno unificati in Dio, che sarà «tutto in tutti» (I Corinzi 15, 28).



tratto dalla rubrica "Dialoghi con Paolo Ricca
del settimanale Riforma del 19 ottobre 2007


sabato 15 dicembre 2012

PRESEPIO PER I PROTESTANTI ?!



l'immagine è tratta da: www.qumran2.net




Ho qui ripreso, di seguito, con alcune piccole modifiche, il mio articolo apparso nel periodico:
«Tempi di Fraternità – donne e uomini in ricerca e confronto comunitario»,
n. 10, anno trentatreesimo, dicembre 2004, pp. 14-16.

Uno sguardo cristiano-protestante sul presepio

1. Presepio per i cristiani-protestanti ?!?

corona dell’Avvento, ghirlande e pigne, albero di Natale, vanno bene, sono doc per i protestanti, ma… il presepio …?!?, il presepio no, non appartiene come sensibilità spirituale al mondo protestante, al riguardo si possono avanzare due serie obiezioni a sostegno del rifiuto del presepio da parte evangelica:
- rifiuto di tipo teologico;
- rifiuto di tipo pedagogico.

- Il rifiuto di tipo teologico si basa sul divieto biblico, la seconda delle Dieci Parole, il secondo comandamento afferma infatti:
«Non farti scultura, né immagine alcune delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE il tuo Dio, sono un Dio geloso», Esodo 20,4-5;Deuteronomio 5,8-9.


- Il rifiuto di tipo pedagogico è per evitare che il bambino crescendo accomuni la sorte di Babbo Natale e Gesù bambino, si delinea il rischio che una volta dissolta la convinzione sull’esistenza del primo, per l’effetto ‘trascinamento’, anche Gesù diventerebbe un balocco buono soltanto per il periodo dell’infanzia.


2. un nuova prospettiva sul presepio

Considerate le obiezioni di cui sopra, per una rivalutazione del presepio da parte cristiano-protestante occorre inquadrare in maniera del tutto diversa, nella forma e nel contenuto, la rappresentazione della nascita di Cristo.
Questo comporta l’interrogarsi su alcuni pregi che possono, all’inizio cautamente ma poi decisamente fatti emergere da un’utilizzo del presepio come strumento di richiamo e di divulgazione biblica, per una didattica fruttuosa a partire da uno spunto interessante per ri-meditare alcune figure bibliche.

Innanzitutto:

Gesù: è stato un Bambino in un mondo che già all’epoca con Erode uccideva i bambini. In Matteo e Luca abbiamo i racconti dell’infanzia che ci ricordano l’importanza, la difficoltà, e la gioia di un bambino che arriva tra noi;

Maria e Giuseppe: finalmente possono essere visti come figure terrestri, e senza sdolcinatura, si può affermare l’importanza e la solidità di questo ‘ritratto’: quello di una coppia che si ama e che si coccola il proprio bambino;

- gli Animali sembrerebbero la parte più controversa: da una parte sono una parte costitutiva del presepio tradizionale, ma, d’altra parte, non hanno riscontro nei racconti evangelici della natività. Bisogna però tener presente che all’epoca persone e animali condividevano gli stessi ambienti, e soprattutto non si può certo dire che vi sia il silenzio nella Bibbia su episodi e vicende che concernono gli animali! Basti qui citare: nel Primo Testamento l’asina di Balaam, libro biblico dei Numeri capitolo 22; e poi: Gesù «stava tra le bestie selvatiche» Marco 1,13, il riferimento è a Gesù in età adulta, all’inizio della sua attività pubblica!
Nella Bibbia e nella successiva tradizione artistico-letteraria-musicale la simbologia animale è stata richiamata per rappresentare Cristo con animali veri ma anche con animali leggendari, fra gli altri: l’unicorno, il pellicano, il leone, la tigre;

- i Pastori: sono coloro che all’epoca erano considerati ai margini della società, nel racconto della Natività c’è una grande nota di attenzione e di considerazione nei loro confronti.
Luca 2,14: «Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch’egli gradisce!» questo dice il testo biblico e non il fuorviante: “pace in terra agli uomini di buona volontà!”, si tratta di uno spostamento d’accento significativo: sull’iniziativa di Dio che va incontro alle persone;

- gli Angeli: la figura dell’angelo, solitamente sequestrata dal consumismo religioso e commerciale, inquadrata anch’essa correttamente (cioè secondo il dato biblico) permette di riscoprire l’importanza del messaggero di Dio, nell’angelo è Dio medesimo che ci raggiunge. L’angelo biblico è un comunicatore della Parola, non ha bisogno, solitamente, di descrizioni immaginifiche e fuori dalla norma, appartiene alla quotidianità. Come dice il teologo Claus Westermann: «Gli angeli di Dio non hanno bisogno di ali».*

* Claus Westermann, Gli Angeli di Dio non hanno bisogno di Ali. Riflessioni e letture bibliche,
traduzione di Teresa Franzosi, (collana I Triangoli),
Edizioni Piemme, 1995, Casale Monferrato (AL).


- i Magi: nella narrazione biblica si usa il plurale, quindi erano più di uno ma il loro numero non è riportato (il tre è poi sorto anche e soprattutto in riferimento ai tre doni che portano); non sono riportati i nomi (una tradizione successiva li chiamerà: Gaspare, Melchiorre, Baldassarre), nella narrazione biblica non si dice che sono dei re (e questo comunque non sminuisce il loro omaggio al bambino Gesù!).
La parola biblica può illuminare il presepio di cose genuine e di altre secondarie, riscoprendo persone e vicende bibliche e della tradizione cristiana successiva che meritano di essere conosciute.


3. Didattica del presepio:

Per l’elaborazione dello schema seguente ho ripreso, con alcune varianti, lo specchietto con i temi su cui riflettere e lavorare proposto da Roberta Colonna Romano da lei elaborato con molta competenza:

argomento ricerca biblica ricerca storico-geografica
o
scientifica

Gesù ( Yehôsûa΄ )
Evangeli di Luca e Matteo
i neonati: cure, modi di vestirli,
a seconda dei paesi e delle culture,
in diverse epoche, nelle civiltà mediterranee.

Maria ( Miriàm )
Evangeli di Luca e Matteo
condizione della donna in Israele.
Abbigliamento, modo di viaggiare.
Censimenti: nell’antichità ed ai nostri giorni.


Giuseppe ( Iosef )
Evangeli di Luca e Matteo
vivere in un paese sotto l'occupazione dell'Impero Romano.

gli Animali
gli animali nella Bibbia,
nella tradizione artistica,
alcuni animali sono considerati simboli di Gesù Cristo.


Pastori
Evangelo di Luca 
condizione dei pastori in Israele;
la pastorizia al giorno d'oggi;

gli Angeli 
Evangeli di Luca e di Matteo
vari modi di raffigurarli
(sogno di Giuseppe)
gli angeli nell’arte del Nuovo e dell'Antico Testamento.

Magi
Evangelo di Matteo astrologia e astronomia
profezie in Mesopotamia e, in genere, in Oriente.

la stella 
Evangelo di Matteo 
natura delle comete

la capanna 
Evangelo di Luca
abitazioni in Israele e nel bacino del Mediterraneo.

la neve 
clima di Israele



4. Quali contatti con il presepio di francescana memoria ?

Nella memoria dei protestanti, Francesco d’Assisi è sentito in gran parte vicino alla fede evangelica. Le sue ‘somiglianze di fede’ con Valdo ( la cui vicenda di fede, precede di alcuni anni quella di Francesco. Valdo è all’origine del movimento dei ‘Poveri di Lione’ da cui sorgeranno i movimenti valdesi medievali) sono notevoli: il richiamo ad una predicazione di fede vissuta nella povertà come stile di vita che rovescia ambizioni ormai consolidate; la nonviolenza e il rifiuto della guerra.
Francesco d’Assisi storicamente è inquadrato nella tradizione cattolico-romana, il suo messaggio ha però valicato gli steccati confessionali.
(Francescani, uomini e donne, sono presenti con un proprio ordinamento anche tra i luterani e gli anglicani).
Il messaggio francescano è attuale nel cercare un rapporto diverso con la natura e tutto il creato e le creature; di estrema attualità è altresì il suo tentativo di dialogare.
Sono due i punti di contatto che in quanto cristiano-protestante mi sento di condividere con altri cristiani riflettendo sul presepio ideato da Francesco.

Primo punto di contatto:

- Per il Natale del 1223, nel paese di Greccio*,

* Il paese di Greccio è nel Lazio, in provincia di Rieti, ancora oggi si svolge il presepio. La memoria di quell’evento è mantenuta viva. Il presepio proposto ha delle caratteristiche peculiari: non è quello tradizionale con i personaggi tipici della Natività: i personaggi del presepio di Greccio, infatti, non sono quelli della famiglia di Gesù, troviamo invece i personaggi e la riproposizione dell’ambiente dell’epoca per rammentare cosa accadde in quella notte del XIII secolo per cui troviamo: Francesco d’Assisi, i frati, il cavaliere Giovanni Velita (con il titolo di signore di Greccio) e sua moglie Alticama.

Francesco organizza la rappresentazione della Natività.
Francesco, che in tempo di crociate belliche per (ri)conquistare violentemente la “Terra Santa”, era riuscito invece a parlare con il “lupo” cioè con il Sultano, Francesco aveva cercato, in qualche modo, di dialogare facendo tacere le armi.
Francesco si rende conto che non c’è bisogno di partire armati per
combattere per la fede, la terra santa è dentro ognuno di noi, riecheggiano le parole dell’apostolo Paolo:
«Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?». Là dove siamo, abitiamo, viviamo, speriamo e amiamo ecco è il luogo dove Cristo nasce: nei nostri cuori e nei luoghi dove ogni giorno ci troviamo e ci ri-troviamo.
Una scelta di fede che squarcia il buio dell’epoca e di quelle successive: la nostra più che mai ha bisogno di questo raggio di sole. Una scelta che adotta la nonviolenza: infatti, non si va a combattere per la fede, in quanto non ci sono dei luoghi “più santi di altri che richiedono che sia versato del sangue ”, si pensi alle parole che Gesù rivolge alla Samaritana nell’Evangelo di Giovanni 4,23: «i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: poiché il Padre cerca tali adoratori» è Dio che s’incammina in pellegrinaggio verso di noi!
Tutto ciò comporta una precisa scelta di fede con una conseguente metodologia nonviolenta ed uno stile di vita sobrio il che non significa piatto e banale.

Secondo punto di contatto:

è la possibile partecipazione attiva alla Natività, diventando parte attiva e costitutiva della rappresentazione. Si può fare un parallelo con quello che sosteneva il filosofo danese protestante Søren Aabye Kierkegaard (1813-1855) che bisogna essere ‘contemporanei di Cristo’ che significa essere lì presenti dove Gesù sta predicando il Regno di Dio, guarendo i malati, ascoltando i bisognosi, resistendo al male, pregando. Fare parte della narrazione biblica, questo vuol dire diventare protagonisti delle vicende bibliche, sentirsi coinvolti nelle vicende descritte nei due Testamenti,
per vivere davvero la Bibbia, nella Bibbia!


                                                                                                                                          
                                                                                                                         Maurizio Abbà



breve nota bibliografica:


- Tonino Conte, …e San Francesco inventò il presepio, illustrazioni di Emanuele Luzzati,
Il Melangolo, Genova, 2002 - volume realizzato in collaborazione con la città di Torino - . (Tonino Conte ha fondato nel 1975, insieme ad Emanuele Luzzati, il Teatro della Tosse di cui è direttore artistico).
- Da questo volume, - p.15 e p.42 - sono tratte le illustrazioni di Emanuele Luzzati riportate nell'articolo apparso sulla rivista: Tempi di Fraternità


- Roberta Colonna Romano, "Didattica del presepio",
in:
«La Scuola Domenicale – rivista del consiglio nazionale scuole domenicali del servizio istruzione ed educazione della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia», luglio 1993, anno C – n.1, pp. 107-116; lo schema sopra riportato (con alcune modifiche) è tratto da p. 111.

sabato 8 dicembre 2012

TEMA: LA PREGHIERA

DIALOGHI CON PAOLO RICCA


«Prega per me!» – «sì, pregherò per te!» - o no?

Qualche tempo fa una signora mi ha chiesto di pregare per lei. È lecito pregare per qualcuno, per una grazia o una guarigione? Al mondo ci sono tante persone che soffrono e tutte sono figli e figlie di Dio. Perché il Signore dovrebbe privilegiare coloro che pregano?

Lasciata da parte la «risoluzione» di una situazione, si può chiedere al Signore di aiutarci a sostenere la via per la quale camminiamo, ma questo lascia sullo sfondo il pensiero che Dio sia «indifferente» o addirittura «incapace» di intervenire.
Penso a Gesù che nel deserto prega e digiuna, chiedendo ai discepoli di non lasciarlo solo. È un’immagine che comprendo meglio. Ora che noi sappiamo che Gesù è davvero risorto ed è vivente, è possibile confidare a Lui i nostri pensieri? Durante il culto sento spesso parlare «di» Gesù, ma non sento mai parlare «a» Gesù.
Esterina Nicoletti

Il tema della preghiera è vastissimo, come quello della fede e di Dio stesso. Se ne potrebbe e dovrebbe parlare a lungo, perché la preghiera, sia come atto (l’azione di pregare, nelle tante forme possibili) sia come atteggiamento (cioè come modo di essere nel mondo e tra gli uomini), è centrale nella vita di fede, secondo la bella parola citata da Kierkegaard, anche se non è sua: «La preghiera è figlia della fede, ma la figlia deve nutrire la madre». Le domande però che la nostra lettrice pone non riguardano la preghiera in generale, ma alcuni suoi aspetti particolari: sono domande puntuali che richiedono risposte puntuali. Le domande, mi pare, sono tre. La prima è se sia lecito pregare per qualcuno in particolare, su sua richiesta, per ottenere qualche grazia, privilegiando così quella persona rispetto ad altri che soffrono altrettanto e forse di più. La seconda è se chiedendo a Dio di intervenire in una situazione di difficoltà non si ammetta implicitamente che Dio, di sua iniziativa, non interverrebbe, dimostrandosi indifferente o addirittura incapace di intervenire. La terza è se sia possibile rivolgere i nostri pensieri e le nostre preghiere direttamente a Gesù (anziché a Dio attraverso Gesù).


I. Alla prima domanda rispondo incondizionatamente «Sì!». Non solo è lecito «pregare per qualcuno, per una grazia o una guarigione», ma è comandato. Le promesse al riguardo sono chiare: «Getta il suo peso sull’Eterno, ed egli ti sosterrà» (Salmo 55, 22) e «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Galati 6, 2). L’intercessione è proprio questo: portare i pesi gli uni degli altri, qualunque possa essere il peso: una malattia o un’altra difficoltà o avversità della vita. Abbiamo nella Bibbia esempi luminosi di preghiere per gli altri, a cominciare da quella stupenda di Abramo a favore di Sodoma, affinché Dio, punendo la città, non faccia perire il giusto con l’empio (Genesi 18, 22-33). Ma anche Mosé ha più volte interceduto per il popolo d’Israele, specialmente dopo il terribile peccato d’idolatria con il vitello d’oro (Esodo 32, 30-35). Gli esempi sono innumerevoli, sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento. Per chi crede, non c’è nulla di più normale che pregare, e specialmente pregare per gli altri. «Pregate gli uni per gli altri, affinché siate guariti» (Giacomo 5, 16) e l’apostolo Paolo scrive ai Filippesi: «In ogni mia preghiera, prego per voi tutti con gioia» (1, 4), e ai cristiani di Tessalonica chiede: «Fratelli, pregate per noi» (5, 25). La preghiera è il primo e principale linguaggio della fede in Dio e dell’amore del prossimo: della fede in Dio perché nella preghiera si parla a Dio come risposta alla parola che egli ci ha rivolto; dell’amore del prossimo perché pregare per gli altri è un modo di amarli – forse il maggiore, tanto più quando ce lo chiedono. Ma anche quando non ce lo chiedono, ce lo chiede Gesù, per il quale la preghiera per gli altri è così fondamentale che da comandare ai suoi discepoli di pregare anche per coloro che li perseguitano, cioè per i loro peggiori nemici (Matteo 5, 44). Ora la nostra lettrice si chiede: pregando per qualcuno, ad esempio per un malato, su sua richiesta, e domandando a Dio di «ricordarsi di lui», come dicono tanti Salmi, e di guarirlo nel corpo e renderlo saldo nell’anima, non faccio forse di lui un privilegiato, rispetto ad altri malati, per i quali – poniamo – nessuno prega? La mia risposta è: «No», in nessun modo! La persona che ci ha chiesto di pregare per lei non è un privilegiato, ma una creatura in difficoltà che lancia un Sos invocando aiuto. Noi pregheremo per quella persona, non però per non pregare per altri, ma al contrario includendoli espressamente nella nostra preghiera, che non sarà esclusiva, ma inclusiva di tutte le persone che si trovano nella stessa difficoltà – persone di cui non conosciamo il nome, che però è certamente conosciuto da Dio. Ecco una bella iniziativa: pregare per coloro per i quali nessuno prega. Sappiamo infatti che Dio ama di più coloro che sono amati di meno.


II. La seconda domanda è: se chiedo a Dio di intervenire in una situazione difficile (malattia o altro) o in qualunque altra situazione della vita, non affermo forse, almeno implicitamente, che Dio ha bisogno di essere, diciamo così, sollecitato, attraverso la mia preghiera, a intervenire là dove, forse, di sua iniziativa, non sarebbe intervenuto, o perché disinteressato («indifferente» dice la lettera) o impossibilitato («incapace»)? In altre parole: Dio agisce nella nostra vita solo se e in quanto glie lo chiediamo, oppure agisce indipendentemente da qualunque preghiera? La nostra preghiera è davvero così potente da destare e mettere in movimento o addirittura modificare la volontà di Dio?
E quindi, in fin dei conti, che senso ha pregare? C’è qualche possibilità – almeno una – di ottenere ciò che si chiede, o invece serve solo come esercizio di pietà, come atto di fiducia e abbandono in Dio, ma non può in alcun modo condizionare la volontà di Dio ? Come si vede sono domande molto impegnative, alle quali rispondo così.

[a] L’idea che la nostra preghiera possa rivelare una «indifferenza» o passività, o addirittura una «incapacità» di Dio è del tutto estranea all’orizzonte della fede cristiana. La preghiera infatti non nasce principalmente del bisogno umano (che pure c’è), ma dalla promessa divina (che è la vera sorgente della preghiera. Non è la preghiera che mette in movimento la volontà di Dio, ma è la promessa di Dio che mette in movimento la preghiera. È perché Dio ha promesso di essere il nostro Dio – cioè il Dio per noi, oltre che con noi e persino in noi – che gli rivolgiamo con fiducia le nostre preghiere. È perché Gesù ha detto: «Tutte le cose che domanderete in preghiera, se avete fede, le otterrete» (Matteo 21, 22), e ancora: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate, e vi sarà aperto» (Luca 11, 9), che noi, fidandoci di queste parole, chiediamo, cerchiamo e bussiamo. È la promessa di Dio che ci rende audaci, e ci fa chiedere a Dio quello che Dio promette. La nostra preghiera quindi non rivela affatto un Dio indifferente, ma, al contrario, un Dio promettente, la cui promessa anticipa e autorizza ogni nostra richiesta.

[b] La preghiera dell’uomo può modificare la volontà divina? Sì, lo può. Non che la volontà umana possa imporsi a quella divina («sia fatta la tua volontà», diciamo nel «Padre Nostro», non la nostra), ma la volontà di Dio non è rigida e irremovibile, al contrario è duttile, flessibile, ospitale, e volentieri fa posto alla domanda dell’uomo: non perché deve farlo, ma perché può e vuole farlo. Dio non è una statua celeste né una sfinge impassibile. Perciò la preghiera sincera della fede, quella del cuore e non delle labbra soltanto, è capace, come diceva Lutero, di «smuovere la grazia di Dio». Diverse volte, nella Bibbia, si parla di un Dio che «si pente» del castigo che voleva infliggere a Israele e lo perdona: «Dio si pentì secondo la moltitudine delle sue benignità» (Salmo 106, 45). Anche Gesù ha cambiato idea a motivo della preghiera insistente della donna cananea (Marco 7, 24-30). Dio ascolta («l’Eterno è stato attento ed ha ascoltato» Malachia 3, 16) e risponde («in modi tremendi tu ci rispondi» Salmo 65, 5). Certo, ci sono tante preghiera non esaudite. Chi prega, forse da anni, per una certa cosa, e non l’ottiene, sa che cosa significa «preghiera non esaudita». Ci si aggrappa alla promessa, ma l’esaudimento non viene. È un’esperienza amara: si ha l’impressione di pregare invano. È vero però che preghiera non esaudita non vuol dire preghiera non ascoltata. E neppure preghiera senza risposta. Solo che la risposta può essere così diversa da quella che ci aspettavamo, che ci riesce difficile riconoscerla come risposta. È comunque un fatto che c’è anche un silenzio di Dio. Ma Kierkegaard, che ha molto riflettuto sulla preghiera, dice di Dio: «Tu parli anche quando taci».

III. Alla terza domanda non è difficile rispondere. Le preghiere dei cristiani sono abitualmente rivolte a Dio «nel nome di Gesù», e non direttamente a Gesù, per due ragioni. La prima è che quello è il modo di pregare insegnato da Gesù stesso ai suoi discepoli: «Quello che chiederete [al Padre] nel mio nome, lo farò, affinché il Padre sia glorificato nel Figlio» (Giovanni 14, 13; vedi anche 14, 14; 15, 16; 16, 23.24.26). È dunque Gesù che ci ha detto di rivolgerci non a lui, ma a Dio «nel suo nome», cioè per mezzo di lui; e questo noi facciamo. La seconda ragione è che Gesù stesso è, in questo tempo, dopo l’Ascensione, colui che «alla destra di Dio, intercede per noi» (Romani 8, 34; vedi anche Ebrei 7, 25; I Giovanni 2, 1): egli cioè, in quella posizione, la sua la nostra preghiera, che quindi giunge a Dio non solo «nel nome di Gesù», ma, per così dire, pronunciata da lui stesso. Detto questo, nulla vieta di rivolgerci in preghiera a Gesù stesso, direttamente, proprio perché è, accanto al Padre, colui che intercede per noi. L’ultima preghiera – che è anche la penultima parola – della Bibbia è un preghiera rivolta direttamente a lui: «Vieni, Signor Gesù!» (Apocalisse 22, 20).


tratto dalla rubrica: Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma 
del 18 giugno 2010

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