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venerdì 31 maggio 2013


Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù, 
il Signore, così camminate in lui 
Colossesi 2,6 

venerdì 24 maggio 2013

Conferenza a Verbania Pallanza



A cura del Gruppo Ecumenico Donne di Verbania

LA TEOLOGIA DEGLI ANIMALI
  SABATO 25 MAGGIO 2013 
ORE 15.00 
presso la Parrocchia Madonna di Campagna - Verbania- Pallanza.
Relatori: 

  • Maurizio Abbà, teologo e pastore valdese delle chiese di Aosta-Courmayeur, e Ginevra.
  • Giannino Pianaha insegnato etica cristiana presso la Libera Università di Urbino e etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino. È stato presidente dell'Associazione Italiana dei Teologi Moralisti. Fa parte delle redazioni delle riviste HermeneuticaCredere oggiRivista di teologia morale e Servitium; collabora al mensile Jesus con la rubrica "Morale e coscienza" e al quindicinale Rocca con la rubrica "Etica Scienza Società".

mercoledì 22 maggio 2013

L'invito al convito del Signore include, non esclude.


L'AUTOSCOMUNICA
di Giuseppe Platone


«... le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni. 
Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze 
quanti troverete. E quei servi usciti per le strade, radunarono 
tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; 
e la sala delle nozze fu piena di commensali» (Matteo 22,8)



Domenica scorsa, mentre celebravo la Santa cena, guardavo - di là dai cerchi che successivamente si formavano intorno alla tavola - verso coloro che non si erano alzati. Pensavo così alla parabola del convito nuziale, dove gli invitati, per una scusa o per un’ altra, non accettano l'invito. Per la serie: abbiamo cose più importanti da fare.

L' immagine racchiude l'idea che l'invito al convito del Signore include, non esclude.
Come chiesa non pratichiamo la scomunica, ma, a volte, ci autoscomunichiamo. Un membro di chiesa, lo so per averglielo chiesto, mi dice che non si è sentito di condividere i segni del pane e del succo d'uva perché pensa alle parole di Paolo: «Ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore» (I Cor.11, 28-29).
Più di una volta, io per primo, ci sentiamo indegni di condividere quella mensa alla quale il Signore c'invita. Questo senso di autoesclusione va preso molto sul serio: molto più della scomunica istituzionale che rivendica la patetica pretesa di sostituirsi a Colui che invita (che rimane sempre e soltanto il Signore).

La Santa Cena non è un gioco né una pura formalità. È un gesto che ha in sé un'incredibile forza trasformatrice. Il Signore, invitandoti alla sua tavola, t'invita alla riconciliazione: con Lui e con te stesso. Le cose vanno insieme. Da notare che l'invito lo rivolge Colui che ha cenato con un traditore e con chi l'ha rinnegato, per non dire degli altri convitati che, nelle ore più alte dell'angoscia, non sono stati accanto al loro maestro. Sono andati - per così dire - a letto e hanno spento la luce. 

Quella lontana cena a Gerusalemme dal punto di vista dei rapporti umani fu un disastro. Da dimenticare. Ma Colui che c'invita chiede invece di ricordarla e di ripeterla. Come dire: se celebrate la Cena, quando vi riunite, ricordate che dal disastro umano può accadere una rinascita. Sicché, proprio quando tocchi il fondo, è il momento giusto per alzarsi e condividere con la comunità di fede i segni di una possibile rinascita. Ma se non ti alzi, se ti autoscomunichi, non saprai mai se tutto questo è vero. Non sperimenterai mai che risorgere è possibile, fin da subito.



 

sabato 18 maggio 2013

PENTECOSTE - Meditazione Biblica di Valdo Benecchi


In cerca di una lingua per


far parlare Dio


Più che rinnovare il nostro vocabolario, il nostro culto ha bisogno 

di lasciare spazio allo Spirito Santo che ci conduce alla gioiosa riscoperta dei doni spirituali 

che ha generosamente disseminato nella comunità dei credenti


    Valdo Benecchi




«1 Quando il giorno della Pentecoste fu giunto, 
tutti erano insieme nello stesso luogo. 
2 Improvvisamente si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, e riempì tutta la casa dov’essi erano seduti. 3 Apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano e se ne posò una su ciascuno di loro. 4 Tutti furono riempiti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi. 
5 Or a Gerusalemme soggiornavano dei Giudei, uomini religiosi di ogni nazione che è sotto il cielo. 6 Quando avvenne quel fuoco, la folla si raccolse e fu confusa, perché ciascuno li udiva parlare nella sua propria lingua. 7 E tutti stupivano e si meravigliavano, dicendo: Tutti questi che parlano non sono Galilei? 8 Come mai li udiamo parlare ciascuno nella nostra propria lingua natìa? 9 Noi Parti, Medi, Elaminiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, 
10 della Frigia, della Panfilia, dell’Egitto e della parti della Libia Cirenaica e pellegrini romani, 11 tanto giudei che proseliti, Cretesi ed Arabi, li udiamo parlare della grandi cose di Dio nelle nostre lingue. 12 Tutti stupivano ed erano perplessi chiedendosi l’uno all’altro: “Che cosa significa questo? ”. 
13 Ma altri li deridevano e dicevano: “Son pieni di vino dolce”»
(Atti 2, 1-13)

Il protagonista della Pentecoste

John Wesley, il fondatore del Metodismo, ha predicato e scritto molto sullo Spirito Santo, il protagonista della Pentecoste, dicendo, fra l’altro: «È difficile spiegare le cose profonde di Dio nel linguaggio umano. Non ci sono parole che possano rendere pienamente ciò che Dio compie per i suoi figli». Ma poi, con grande sollievo spirituale e gioia, Wesley annunciava che, grazie allo Spirito Santo, il nostro essere figli di Dio, la morte e la resurrezione di Cristo, il perdono del peccato e la riconciliazione con Dio non sono dei concetti astratti, delle formule dogmatiche, ma sono vita, forza spirituale, esperienza personale, speranza viva. Affermazioni che ci parlano dello Spirito Santo come di un evento che non possiamo relegare né nei dogmi, e neppure nelle pieghe delle formule teologiche o della tradizione religiosa.

L'azione dello Spirito Santo

Gli eventi che nel racconto introducono Pentecoste sono molto eloquenti. Sono simboli evidenti dell’alterità di Dio e dello Spirito Santo rispetto alla nostra realtà. Colpisce la presenza in Gerusalemme di tanti stranieri, di persone provenienti da paesi diversi, da culture e lingue diverse per la celebrazione della festa. Questa presenza è enfatizzata di proposito dall’autore del testo, Luca, per indicare l’universalità dell’appello di Dio all’umanità. I seguaci di Gesù non possono fare a meno di comunicare a chiunque le «grandi cose di Dio», la loro esperienza di Dio e l’Evangelo di Gesù Cristo.

L’azione dello Spirito Santo, dunque, non resta confinata all’interno del piccolo nucleo delle discepole e dei discepoli di Gesù, ma lo fa deflagrare dalla piccola stanza dove i discepoli si riuniscono alla strada, alla piazza, dalla lingua locale, dal linguaggio iniziatico della comunità al dialetto locale, alle varie lingue dei popoli. I discepoli di Gesù si muovono in ogni direzione cercando con tutti un dialogo, magari lanciando anche qualche provocazione, comunicando a tutti la propria esperienza. Il dialogo è consapevolezza di non possedere la verità in esclusiva, ma disponibilità ad accettare che vi siano altre importanti esperienze di Dio, cristiane e non, da cui essere arricchiti. L’opera dello Spirito Santo è più ampia dei nostri confini ecclesiastici e religiosi. E allora possiamo dire che la chiesa di Gesù Cristo era ben diversa da quella che oggi conosciamo o che siamo abituati a pensare. Essa è una comunità di persone che dialogano, che comunicano l’Evangelo. Un movimento in espansione e non racchiuso in un ambito statico, delimitato da cui di tanto in tanto si osano delle prudenti escursioni nel mondo, attenti a difendersi per non essere contaminati da altre culture o religioni.

Il versetto 8 fa saltare tutti i nostri schemi, confonde le carte in tavola con le quali siamo soliti giocarci le nostre strategie evangelistiche, rimette in gioco le nostre acquisizioni teologiche: «Come mai li udiamo parlare ciascuno nella nostra propria lingua natia?». «Li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue». Affermazioni del genere svuotano la nostra abitudine a considerare l’adesione alla fede cristiana sostanzialmente come l’adesione a un credo cristallizzato in un certo numero di principi fissi che, al momento, sembrano metterci al sicuro spiritualmente.


L'annuncio di un'esperienza

Gli apostoli, a Pentecoste, non corrono incontro agli altri annunciando una dottrina o una morale, ma un’esperienza. Ciò implica che non si aspettano l’adesione a una dottrina, ma la disponibilità a fare insieme un’esperienza nuova e originale di Dio. Forse non siamo abituati a collocare la nostra fede in questa dimensione. Abbiamo difficoltà a uscire da una fede intesa come costruzione razionale e logica, sempre attenta a una ortodossia teologica che poi comunichiamo dai pulpiti. La predicazione diventa spesso l’esposizione di una dottrina, il ripasso di verità che nel tempo sono diventate luoghi comuni. Certo la predicazione è ancorata nella Scrittura, ma essa deve essere vissuta come un evento all’interno della creatività dello Spirito Santo.

Quando penso al canone della Bibbia ne traggo l’impressione che spesso gli estensori hanno seguito lo Spirito con una certa spregiudicatezza e disponibilità includendo, per esempio dei libri che per quei tempi dovevano essere considerati come una forma di letteratura profana (Proverbi, Giobbe, il Cantico dei Canti, il Qohelet) che anche oggi da molti sono poco letti perché sembrano contenere posizioni che rasentano l’ateismo, una sfida radicale dell’uomo a Dio, o che sembrano diffondere il dubbio sulla sua onnipotenza. Gli stessi autori dei libri del Nuovo Testamento sapevano bene che la fede non è evidenza dei sensi, né può essere dimostrata come un teorema, ma solo cercata e vissuta nella libertà. «La Parola di Dio è vivente ed efficace» leggiamo in Ebrei 4, 12. E ciò, appunto, non dipende dall’ortodossia dei concetti che esponiamo, né dalla scelta azzeccata di termini e immagini che riescano nell’impresa di afferrare le coscienze dei nostri ascoltatori o di eccitare la loro fantasia spirituale. «È lo Spirito del Padre vostro che parla in voi». (Matteo 10, 20). Lo Spirito ci aiuta nella nostra debolezza» (Romani 8, 26).


La chiesa di Pentecoste

La chiesa di Pentecoste è un luogo nel quale si impara ad attendere da fuori. È il luogo dell’attesa dei discepoli di Cristo. «Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera» (Atti 1, 14). Il luogo in cui impariamo ad attendere da alto, da Dio. È il luogo non dell’organizzazione ma, semmai, della disorganizzazione della nostra salvezza perché la attendiamo dallo Spirito Santo che è e resta imprevedibile e sorprendente. La comunità dei credenti è il luogo in cui non costruiamo per nostro conto il Regno di Dio, ma in cui lo possiamo attendere e ricevere. Le nuove sorelle e i nuovi fratelli che si aggiungono non sono dei numeri per rimpolpare le nostre statistiche, ma nuovi doni dello Spirito che vengono ad arricchirci. La chiesa non è il luogo in cui si traccia il percorso della salvezza, o dove si organizza la nostra entrata nel Regno ma dove si annuncia e si ascolta l’Evangelo, dove preghiamo affinché lo Spirito di Dio ci faccia vivere più fedelmente la nostra vocazione di testimoni del Regno.

Per tutto questo dobbiamo abbandonarci alla creatività «eretica» dello Spirito Santo che, per dirla ancora con Wesley, «promuove e amministra la vita cristiana» in piena libertà. Se proprio volessimo tentare una definizione, potremmo dire che lo Spirito Santo è il grande animatore della fede e della testimonianza della comunità dei discepoli. Giungerei a dire che senza Spirito Santo non c’è Evangelo vivo e libero.

Lo Spirito Santo, pertanto, non ha solo il ruolo importante di darci l’intelligenza della Scrittura o di risvegliare la nostra fede appannata. Se ci abbandoniamo alla creatività dello Spirito, la nostra stessa liturgia torna a palpitare. Più che rinnovare il nostro vocabolario o riscoprire un antico linguaggio più suggestivo, il nostro culto ha bisogno di lasciare spazio allo Spirito Santo che più che suggerirci delle formule, ci conduce alla gioiosa riscoperta dei doni spirituali che ha generosamente disseminato nella comunità dei credenti. Lo Spirito Santo è, appunto, «la lingua per far parlare Dio».



riportato dal blog:  biellaprotestante.blogspot.it     in data 
Domenica 31 maggio 2009





Dolori e Gioie dell'Umanità tra Polifonia e Canto Popolare - II


IL CORO POLIFONICO DI AOSTA AL TEMPIO VALDESE






Aosta mercoledì 15 maggio 2013


Foto: Dario Telloli

venerdì 17 maggio 2013

Dolori e Gioie dell'Umanità tra Polifonia e Canto Popolare

IL CORO POLIFONICO DI AOSTA al TEMPIO VALDESE 










                                                          Lettura del Salmo 150

Aosta mercoledì 15 maggio 2013

Foto: Silvana Panza


giovedì 16 maggio 2013

SULLA BASE DELLA PAROLA

OMAGGIO A SUBILIA



Un omaggio a Vittorio Subilia, teologo e pastore valdese, a 25 anni dalla morte, ma anche e soprattutto l'occasione per chi non lo conosce di scoprire un predicatore efficace e affascinante, capace di annunciare l'Evangelo in modo rigoroso e diretto. E' l'intento della trasmissione di Radio Voce della Speranza "La Parola che brucia" che proporrà una selezione di predicazioni di Subilia, tratte dall'omonimo libro della Claudiana, lette da Timoteo Verona e commentate in studio da Roberto Vacca e Roberto Davide Papini.

A partire dal 18 maggio e per dodici puntate, ogni sabato alle 18 (con replica alle 10 della domenica mattina e alle 3 di lunedì notte) sarà possibile ascoltare alcuni dei sermoni di Subilia (relativi al periodo tra il 1939 e il 1971) che toccano vari temi (dall'ecumenismo all'evangelizzazione; dalla preghiera al significato di chiesa) e mostrano come la predicazione di Subilia, rigorosamente fondata sulla Parola di Dio, davvero sappia parlare ai cristiani e alle chiese di oggi come a quelli di allora.


14 maggio 2013

tratto da: www.chiesavaldese.org

giovedì 9 maggio 2013

Benedetto sia Dio, che non ha respinto la mia preghiera 
e non mi ha negato la sua grazia 
Salmo 66,20