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venerdì 24 giugno 2011

GESU' EBREO GESU' MESSIA

DIALOGHI CON PAOLO RICCA
E se gli ebrei avessero riconosciuto Gesù come messia...?
L’ ebraismo stesso (o giudaismo che dir si voglia) sarebbe rimasto quello che era? 
Se, come è probabile, sarebbe stato modificato da questo riconoscimento, in che misura e in che modo lo sarebbe stato?
C’è una questione che vorrei sollevare, ritenendola estremamente stimolante, quantomeno sul piano intellettuale. Eccola: considerata l’assoluta ebraicità di Gesù, il suo essere Cristo (cioè Messia) in un contesto strutturalmente giudaico, che cosa sarebbe accaduto all’ebraismo e al cristianesimo se il Salvatore fosse stato riconosciuto come il Messia atteso e annunciato dall’Antico Testamento? Ed è immaginabile che il Suo ritorno possa coincidere con l’arrivo del Messia ebraico?
Roberto Vitelli – Roma



È davvero suggestiva l’ipotesi formulata dal nostro lettore, anche se tutti sappiamo che la storia non si fa con i «se», cioè con ciò che non è accaduto (anche se in teoria avrebbe potuto accadere), ma si fa solo con quello che è effettivamente accaduto (anche se in teoria avrebbe potuto non accadere). In rapporto al problema sollevato dal nostro lettore, è accaduto quanto segue: una minoranza più o meno esigua di ebrei ha riconosciuto in Gesù il Messia di Israele atteso da tempo e lo ha confessato come tale, incorrendo, col tempo, nella espulsione dalla sinagoga (Giovanni 9, 22.34); la maggioranza degli ebrei, invece – e comunque tutta, o quasi, la leadership religiosa (Caiafa) e politica (Erode) di allora – non lo hanno riconosciuto come Messia, anzi lo hanno ritenuto o un esaltato pericoloso (a esempio per le sue parole sul Tempio, che egli avrebbe distrutto e riedificato in tre giorni) e blasfemo (a esempio per il diritto che si arrogava di perdonare i peccati), oppure un agitatore politico che, se lasciato fare, avrebbe finito per insospettire le autorità romane, le quali avrebbero probabilmente colto l’occasione per un ulteriore giro di vite repressivo nei confronti dell’intera comunità ebraica. C’era anche, tra gli oppositori, chi gli negava l’identità spirituale e religiosa ebraica chiamandolo «Samaritano» (Giovanni 8, 48), cioè eretico.


Ora, il nostro lettore ci chiede: che cosa sarebbe accaduto se la maggioranza ebraica avesse riconosciuto Gesù come il suo Messia? La storia di Gesù sarebbe stata diversa? Sarebbe stato comunque arrestato dai Romani come partigiano palestinese nemico di Cesare, cioè dell’imperatore, ma in questo caso contro il volere delle autorità giudaiche? E alla fine del processo-farsa che gli fu intentato, sarebbe stato crocifisso con la stessa motivazione politica riferita dagli evangeli: «re dei Giudei»? O invece dobbiamo pensare che un Gesù riconosciuto come Messia non sarebbe stato arrestato e che la sua vita si sarebbe svolta serenamente in seno alla comunità ebraica, con sviluppi che però non possiamo immaginare? L’ebraismo stesso (o giudaismo che dir si voglia) sarebbe rimasto quello che era? Se, come è probabile, sarebbe stato modificato da questo riconoscimento, in che misura e in che modo lo sarebbe stato? Ma un ebraismo (o giudaismo) modificato nella direzione auspicata da Gesù accolto come Messia non avrebbe reso superflua la nascita del cristianesimo, che è nato appunto come eresia ebraica? 
Ma se il cristianesimo non fosse nato, la storia del popolo ebraico sarebbe stata anch’essa molto diversa, almeno nel senso che, non essendoci il cristianesimo, non ci sarebbero state neppure le persecuzioni inflitte dai cristiani agli ebrei, e non ci sarebbe stato il cosiddetto antigiudaismo cristiano, con tutte le sue nefaste conseguenze. E noi, che prima di diventare cristiani eravamo pagani, che cosa saremmo diventati (supponendo che non saremmo rimasti pagani), se il cristianesimo non fosse nato? Saremmo diventati ebrei, in quanto discepoli di Gesù riconosciuto dagli ebrei come Messia? Apparterremmo allora alla comunità dei cosiddetti «ebrei messianici» che – se sono bene informato – accettano Gesù come Messia, ma non come Figlio di Dio nel senso della seconda persona della Trinità? 
Come si vede, le domande si moltiplicano e la matassa rischia di diventare sempre più ingarbugliata, anche se, volendo prendere sul serio la domanda iniziale, è difficile eludere tutte le altre che da essa nascono inevitabilmente. Il loro numero e la loro portata danno un’idea di quante implicazioni e complicazioni la domanda iniziale porta con sé.


Comunque, concentriamoci su di essa: che cosa sarebbe successo se gli ebrei (o i giudei) avessero riconosciuto, almeno a maggioranza, Gesù come il loro Messia? Tenterò una risposta, ipotetica come la domanda, cominciando a osservare che questo riconoscimento da parte ebraica avrebbe potuto aver luogo sia durante il ministero pubblico di Gesù fino al suo arresto, sia davanti a Gesù crocifisso (supponendo che i Romani lo avrebbero comunque, prima o poi, arrestato e condannato a morte), sia dopo la sua risurrezione. Il riconoscimento avrebbe potuto situarsi in uno di questi tre momenti, tra loro molto diversi, della storia di Gesù. Il significato e la portata di un ipotetico riconoscimento di Gesù come Messia da parte ebraica cambierebbero secondo il momento in cui tale riconoscimento avrebbe luogo. Vediamo più da vicino le tre possibilità.

1. In questi ultimi anni siamo stati resi attenti da diversi studiosi, sia ebrei che cristiani, alla grande varietà di posizioni religiose presenti nel giudaismo al tempo di Gesù. Questo vale anche per la concezione del Messia: sicuramente non ce n’era una sola, e nessuna era normativa. Sullo sfondo di una visione pluralista del messianismo ebraico com’era quella di allora, che cosa sarebbe accaduto se la maggioranza degli ebrei avesse riconosciuto Gesù come Messia durante il suo ministero pubblico? Sarebbero accadute, come minimo, due cose.

[a] La prima è che la comunità ebraica avrebbe preso per buona la risposta di Gesù alla domanda decisiva che Giovanni Battista gli pose attraverso i suoi discepoli: «Sei tu colui che ha da venire [cioè il Messia] o ne aspetteremo noi un altro?». Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni quello che udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono guariti e i sordi odono; i morti risuscitano e l’Evangelo è predicato ai poveri. E beato colui che non si sarà scandalizzato di me!» (Matteo 11, 3-6). Gesù cioè elenca alcuni segni dei tempi messianici e in pratica afferma che, essendoci i segni, c’è anche il Messia che li compie. Riconoscendo Gesù come Messia la comunità ebraica avrebbe lasciato cadere la sua tradizionale obiezione, che è questa: quando viene il Messia, devono venire anche i tempi messianici per tutta l’umanità e l’intero creato (Isaia 11!), e non solo qualche segno per qualcuno, ma non per tutti: con Gesù i tempi messianici per tutti non sono venuti, perciò il Messia non era lui. Questa obiezione sarebbe caduta e la comunità ebraica, come quella cristiana, si sarebbe accontentata (per così dire) dei «segni» per riconoscere la messianicità di Gesù.

[b] La seconda conseguenza del riconoscimento sarebbe stato l’abbandono da parte di Israele di ogni messianismo di tipo politico, dato che Gesù ha in più modi preso le distanze dal progetto religioso nazionalista del partito degli zeloti (non dimentichiamo che uno dei Dodici, di nome Simone, era zelota: Luca 6, 15), che voleva liberare la Palestina – la «terra promessa»! – dall’odiato occupante romano e ristabilirvi il Regno di Davide: il Messia avrebbe dovuto realizzare questo progetto. Nulla di tutto ciò si ritrova nel Messia Gesù, che davanti a Pilato dichiara apertamente di essere, sì, re, ma di un regno che «non è di questo mondo», pur essendo in questo mondo. Riconoscere Gesù come Messia avrebbe significato optare per un messianismo libero da ipoteche di politica nazionale.

2. Che cosa avrebbe significato riconoscere la messianicità di Gesù condannato a morte dai Romani e crocifisso? Avrebbe significato accogliere un’idea di Messia nuova per la comunità ebraica. Si può infatti sostenere, con la ricerca storica più accreditata, che nel giudaismo del tempo di Gesù «non c’è alcuna traccia del “Messia sofferente”»(1), anche se autorevoli studiosi di quel periodo (come Joachim Jeremias) affermano il contrario. È un fatto che il passo giustamente famoso del «Servo sofferente dell’Eterno» (Isaia 53, 1-12) non è messianico, ma è probabile che Gesù abbia unificato nella sua coscienza e quindi nella comprensione del suo ministero e del suo destino la figura del Messia e quella del Servo sofferente. Questo abbinamento era una novità, introdotta nell’ebraismo dall’ebreo Gesù. Se la comunità ebraica avesse riconosciuto Gesù come Messia, avrebbe fatto proprio questo modo nuovo di intendere il Messia che, pur essendo nuovo, si innesta in un filone autentico della tradizione religiosa ebraica.

3. La storia di Gesù, secondo i primi testimoni che erano tutti ebrei, anzi ebree (dato il ruolo decisivo svolto dalle donne nella trasmissione del messaggio di Pasqua), non si conclude con la morte, ma con la risurrezione, che fa fare alla storia di Gesù un salto qualitativo. Riconoscere Gesù risorto come Messia significa fare la stessa esperienza di Tommaso (Giovanni 20, 28!) e affermare la divinità di Gesù – cosa che la coscienza ebraica ha sempre rifiutato di fare. Farla avrebbe significato per gli ebrei diventare cristiani. I primi cristiani, che erano ebrei, hanno vissuto questo passaggio non come un rinnegamento, ma come un inveramento.
Il nostro lettore chiede ancora se sia «immaginabile che il ritorno di Gesù possa coincidere con l’arrivo del Messia ebraico». Certo che è immaginabile, sarebbe molto bello e personalmente ne sarei felice. Non posso però dimenticare l’inquietante interrogativo di Gesù: «Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà egli la fede sulla terra?» (Luca 18, 8).
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(1) James H. Charlesworth, Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Claudiana, Torino 1994, p. 198, n. 57.



Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 6 maggio 2011