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mercoledì 12 ottobre 2011

articolo della Prof.ssa Maria Grazia VACCHINA


VALLE D’AOSTA
LICD-VDA
la Presidente

IL CONTROLLO DEL DOLORE
E’ UN DIRITTO-DOVERE
DELLA PERSONA
E LE CHIESE HANNO IL COMPITO DI SOSTENERLO

Poiché negli ultimi anni il diritto al controllo del dolore sta finalmente trovando il giusto spazio nell’ambito della cultura medico-giuridica, è doveroso farlo conoscere a tutti i cittadini per consentirne la pratica generalizzata, essendo il mancato esercizio del corrispondente dovere e delle relative responsabilità da parte delle singole persone (sia fisiche che giuridiche) - come peraltro per ogni diritto - una concreta vanificazione della stessa affermazione normativa nella realtà quotidiana, dove si gioca e misura l’effettività della democrazia.

Dagli anni ’80, soprattutto, Medici e Volontari attenti sono stati pionieri nel capovolgere una cultura del malato e della malattia che tendeva a focalizzare attenzione ed energie sui problemi logistici delle strutture ospedaliere e sulla cura asettica delle patologie. Oggi, da stime ministeriali, solo il 40% dei malati oncologici accede alle cure palliative e solo l’1% degli altri malati (a partire dall’alzheimer), ma la virtuosa complicità di operatori e pazienti sta favorendo il primato del rispetto della persona, nella consapevolezza che curare il dolore, sia come sintomo di malattia che come malattia vera e propria, sia centrale per rispettare e/o restituire dignità alla persona, dando effettività all’art. 32 della Costituzione che tutela la salute come fondamentale diritto del cittadino e interesse della collettività.

E se la legge deve trovare applicazione, i principi morali devono farsi etica di vita, essendo le omissioni gravi e devastanti per lo spazio che lasciano libero al peggio. Essenziali risultano, allora, tanto l’ascolto - sia dei bisogni e delle legittime aspettative dei cittadini che delle novità scientifiche - quanto la vigilanza, indispensabili per fare e far fare quanto dovuto, in vista di un’auspicata nuova classe di operatori e pazienti più rilevante dello stesso monitoraggio ministeriale ex L. n. 38/2010 (Disposizioniper garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) per il bene degli individui, delle famiglie e delle comunità, a tutto vantaggio anche della pace sociale.

In merito, l’apporto del Volontariato è a tutt’oggi indispensabile, anche se è da condividere il sogno dell’esemplare Don Ciotti che ne auspica l’inutilità a favore di una normalità di tutti e di ciascuno, dovendo la solidarietà farsi regola generale per i cittadini e non ridursi a virtù di qualcuno. Un sogno che significherebbe anche che la società non ha più bisogno di questa azione di stimolo e supplenza, che il pubblico e le Istituzioni preposte al bene comune realizzano davvero il fine che è loro proprio, con assunzione piena di responsabilità. Utopia, certo, ma feconda, perla quale devono lavorare le comunità civili e le chiese, in vista di un patto virtuoso tra cittadini e pubblica amministrazione che renda effettivo, nel caso di specie, questo diritto-dovere indisponibile.

Giova ricordare le tappe fondamentali di questo cammino. Il primo atto formale nella storia delle cure palliative in Italia, è rappresentato dalla legge n. 39/1999, con la quale è stato previsto un programma nazionale per la creazione di strutture residenziali specifiche in tutte le Regioni italiane. Le Linee-guida del maggio 2001 lanciano poi l’obiettivo dell’Ospedale senza dolore, ma è soprattutto la legge n. 38/2010 (con tempestivo Accordo assunto all’interno della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome e creazione di una Commissione ministeriale preposta all’effettiva applicazione della normativa sull’intero territorio nazionale), ad essere fondamentale in tema di cure palliative e terapia del dolore come diritto da assicurare e dovere da praticare.

Da sondaggi conoscitivi attivati dalla Lega Italiana contro il Dolore-Valle d’Aosta risulta che è sempre più diffusa la consapevolezza della previsione normativa attinente la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica, la previsione e attuazione di reti nazionali e regionali per le cure palliative e la terapia del dolore, la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali oppiacei, la formazione specifica del personale sanitario. E ciò non soltanto in riferimento alle patologie comunemente ritenute più devastanti, ma anche in relazione a quei malesseri, più o meno gravi, che inficiano la qualità della vita, sia individuale che familiare, non di rado sin dai primi anni e con rilevanti conseguenze anche sul piano scolastico e lavorativo, a detrimento dell’intera collettività persino in termini economici.

In Europa il dolore (anche in forma severa e cronica) rappresentauno dei principali problemi esistenziali e sanitari, interessante una fascia intorno al 30% della popolazione, minata nell’integrità fisica e psichica, con conseguente sofferenza che si riverbera sul nucleo familiare e sull’intero tessuto sociale. L’Italia non è ancora tra i Paesi all’avanguardia in tema di cure palliative e terapie antalgiche, ma può e deve diventarlo, anche perché gli specialisti non mancano, così come non mancano ricorsi processuali vincenti che vanno evitati con adeguata prevenzione.

Se il dolore è un appuntamento ineliminabile dell’esistenza, occorre a maggior ragione lottare contro la sofferenza eliminabile, affinché la correità del non fare e la stessa tentazione del moralismo di matrice stoica lasci spazio vincente alla solidarietà dell’agire, alla sinergia del bene, più forte di quella del male che pure si accampa prepotente: solidarietà e sinergia del bene da recuperare alla vista di tutti per incoraggiamento e consolazione di chi tenta davvero di essere uomo su questa terra, poco importa il suo credo quando l’essenziale che unisce è la fede nella vita.


Maria Grazia Vacchina
Presidente LICD-VdA
(www.licd.org)