Editoriale di Fulvio Ferrario,
professore di Teologia Sistematica alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma
«Cattolicità» protestante
A che punto è il processo di unità del
protestantesimo europeo? E lungo quali strade può proseguire? L’assemblea
generale della Comunione di Chiese protestanti in Europa (Ccpe), che si tiene a
Firenze dal 20 al 26 settembre, tenterà di dare una risposta a queste domande.
Per comprendere la natura e gli obiettivi di questo importante appuntamento,
può essere utile un veloce sguardo al recente passato.
Un po’ di storia. Nel 1973 la maggior parte delle
chiese luterane, riformate e unite (l’aggettivo indica diverse chiese regionali
tedesche che integrano, in vari modi, le due tradizioni confessionali) d’Europa
sottoscrive la Concordia di Leuenberg (località vicino a Basilea). Il documento
segna il superamento definitivo delle divisioni tra evangelici determinatesi
nel XVI secolo. La decisiva novità è la seguente: le singole tradizioni
confessionali non risultano abbandonate; e si constata il permanere di
differenze teologiche, anche su questioni rilevanti. Si afferma, tuttavia, che
tali differenze non hanno un significato tale da dividere le chiese. Di
conseguenza, quelle che sottoscrivono la Concordia di Leuenberg sono chiese in
piena comunione reciproca. In concreto: un membro o un ministro di una chiesa
riformata può essere accolto in una chiesa luterana, e viceversa. La portata
decisiva del testo risiede nell’attuazione di una precisa visione dell’unità
cristiana: la diversità non si oppone all’unità, bensì l’arricchisce. Il
peccato che deve essere rinnegato non è la diversità, ma la divisione. In tal
modo, il mondo protestante realizza per la prima volta l’obiettivo del movimento
ecumenico, cioè, appunto, l’unità nella diversità. Dopo il 1973, diverse chiese
si sono aggiunte a quella che allora si chiamava «Comunione di Leuenberg» e che
ora è la Ccpe. Nel 1994, le chiese metodiste europee sono entrate in questo
processo di comunione.
Un processo, appunto. La comunione, infatti, non è
un dato acquisito una volta per tutte, bensì un cammino. Esso si è approfondito
attraverso decine di colloqui su temi teologici, che hanno prodotto diversi
documenti di notevole importanza: il principale è La chiesa di Gesù Cristo, un
condensato della visione evangelica della chiesa. Il modello di Leuenberg è
stato applicato anche ad altri dialoghi ecumenici e ha condotto a significativi
accordi tra alcune chiese europee e la Chiesa d’Inghilterra.
La grande sfida. La comunione ecclesiale, tuttavia,
non vive di sola teologia. Il protestantesimo europeo ha un’enorme sfida
davanti a sé: quella di proporsi alle società del nostro continente con una
voce il più possibile unitaria. A suo tempo è risuonata la proposta di un
Sinodo protestante europeo. Per diverse ragioni, questo obiettivo resta
abbastanza remoto.
L’assemblea di Firenze, tuttavia, intende fare
alcuni piccoli passi nella direzione di una più profonda unità, su alcune
questioni importanti, tra le quali ne voglio menzionare una.
Il protestantesimo deve crescere per quanto
riguarda la cattolicità della chiesa, cioè la capacità di ciascuna chiesa di
camminare non contro né senza, bensì insieme alle altre. Ciò richiede anche
istituzioni che abbiano l’autorità di esprimersi, su alcuni punti decisivi, in
termini che impegnino tutte le chiese. Se così non fosse, avrebbe ragione Roma,
che accusa la Ccpe di manifestare un’unità «minimale» e, anche, «nominale». La
storia delle chiese protestanti richiede, in un simile cammino, molta
delicatezza: nessuno di noi vuole rinunciare alla propria autonomia che, anzi,
è al centro di questo progetto ecumenico. Come vivere concretamente una
polifonia che non sia anarchica, bensì in grado di esprimere la creatività dello
Spirito nell’unità di intenti della chiesa? Firenze non risolverà questo
problema: vorrebbe, però, discuterlo.
In Italia. Il fatto che l’assemblea si svolga in
Italia, su invito dalla Chiesa luterana e di quelle valdesi e metodiste,
rappresenta anche per gli evangelici del nostro paese un’occasione di
verificare il nostro percorso comune. I rapporti sono buoni, lo sappiamo. Ma la
comunione non si riduce al buon vicinato, esige una testimonianza resa insieme.
A Firenze si parlerà, presumo, anche del cinquecentesimo anniversario della
Riforma, nel 2017. Il cardinale Koch ha recentemente dichiarato che non è
possibile «celebrare un peccato», cioè la divisione. Un motivo in più per
mostrare, anche a chi non vuol vedere, che la Riforma è un impulso di unità, e
che la Ccpe è solo l’inizio. Firenze è una tappa, che ci aiuterà a proseguire.
Fulvio
Ferrario
tratto da: Riforma, 21 settembre 2012 - Anno XX - numero 36, pp.1.12.