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mercoledì 26 settembre 2012

Per una Chiesa che si nutre della Parola di Dio


Aosta Carlo Monaja: le chiese in cammino verso Cristo, al centro del «cerchio»
                    Carlo Monaja
                                                                       
Leo Sandro Di Tommaso
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Il 2 agosto abbiamo dato l’arrivederci,
annunciando la Risurrezione per bocca
del pastore Maurizio Abbà, al fratello
Carlo Monaja, predicatore locale,
più volte presidente del Consiglio di
chiesa, colonna della chiesa valdese di Aosta,
memoria storica vivente di quasi un secolo
di vita della comunità. Parlerò di lui anche
con frasi virgolettate, tratte da un’intervista
(cfr. Valdesi in Valle d’Aosta, Ed. Le
Château, 2002, pp. 374-378), leggendo i
punti salienti di una vita esemplare e accennando,
per motivi editoriali, ad altri anche
importanti (l’artista, l’artigiano, di consigliere
comunale).
Carlo nacque a Ginevra nel 1914 da famiglia
di origine italiana ed evangelica, trasferitasi
nel 1923 in Valle d’Aosta. Giovanni
Miegge più di ogni altro formò Carlo «per la
sua fede profonda, la sua vita di credente, la
profonda e vasta preparazione teologica».
Inoltre fu Miegge a «lanciare un nuovo rapporto
con la città», sebbene «in un momento
in cui fortissima era l’opposizione del clero
cattolico. Non si può non ricordare che,
mentre egli teneva la conferenza sostitutiva
di quella programmata di Ernesto Buonaiuti,
il tempio valdese veniva preso a sassate»:
fatto che «riassume l’azione incisiva che
Miegge tentò in quegli anni». Come giovane
membro di Chiesa, Carlo si ritrovò «in un
bel gruppo» sorretto da Miegge che ebbe fiducia
in loro, formandoli alla predicazione e
inviando Carlo a predicare. Poi venne Vittorio
Subilia che rimase dieci anni «e che anni!
», favorevoli al dialogo: «non tralasciava
occasione per essere presente. Tutti aspettavano
i suoi interventi per avere una chiarezza
di vedute alla luce della Parola».
Carlo Monaja ha avuto modo di approfondire
lo spirito ecumenico con Vittorio Subilia
e con Willem Adolph Visser’t Hooft, segretario
generale del Consiglio ecumenico delle
Chiese (1938-1966). «Il pastore Subilia, che
aveva maggiore apertura verso il mondo laico
che verso i cattolici, in seguito cambiò posizione,
arrivando a quella del sermone La tentazione
dell’unità». Visser’t Hooft «fu fondamentale
nell’orientare la nostra Chiesa e lo
stesso Subilia verso l’ecumenismo». L’immagine
del cerchio al cui centro si trova Gesù
Cristo e intorno le chiese che camminano
verso di lui, che Carlo ripeteva, non era sua:
«fu proprio lui [Visser’t Hooft, ndr] a usarla:
un giorno che camminavamo in mezzo a un
bosco, si fermò e disse quelle parole che illustrano
magnificamente il cammino per l’unità
». E da qui partiva per ricostruire il percorso
con la Chiesa romana locale. Conobbe anche
Oscar Cullmann che, come Visser’t Hooft,
era amico di Subilia e frequentava la Valle.
Del periodo della Resistenza abbiamo testimonianza
nel volume Avere vent’anni nel
1943 (a cura dell’Istituto storico della Resistenza):
Carlo, partigiano, indica le radici
del suo antifascismo nella sua formazione:
«Io sono protestante e noi sappiamo che la
Riforma protestante del XVI secolo è stata
una culla di democrazia in Europa». Dopo la
Liberazione l’ex partigiano Carlo fu consigliere
comunale e piccolo imprenditore artigiano;
fu anche pittore e animatore dell’Associazione
degli artisti valdostani. Sulla crisi
della chiesa, in particolare sui giovani, diceva
che, nonostante tutto, occorresse perseverare
nella fede, testimoniare, pregare: «i
giovani non sono del tutto assenti: si vedono
ogni tanto, vogliono bene alla Chiesa, alcuni
partecipano alla sua vita. Forse un giorno
Dio ci esaudirà e i giovani, riflettendo sulla
fede dei loro genitori, prenderanno coscienza
e torneranno. È l’augurio che rivolgo alla
mia Chiesa. E gliene rivolgo un altro: che si
nutra sempre della Parola, cercando in essa
luce per il suo cammino».
Veramente il fratello Carlo Monaja è il
giusto cantato dal Salmo 92: fiorito come
palma, cresciuto come cedro del Libano,
piantato nella casa del Signore, ha portato
frutto anche nella vecchiaia, rimanendo fino
a quasi 98 anni pieno di vigore, pronto sempre
ad annunciare che il Signore era la sua rocca, è la nostra rocca.



tratto da: Riforma n. 37, 2012, ANNO XX, p. 9.