DIALOGHI
CON PAOLO RICCA
«Fido»
è morto: che ne sarà di lui?
Nei giorni scorsi è morto il mio cane: una
cardiopatia associata a un edema polmonare lo ha stroncato nel giro di poche
(ma quanto sofferte!) ore di agonia. Vorrei sapere: per i nostri animali domestici,
c’è speranza? La loro fine segna il loro definitivo distacco dalla vita?
Saranno tutti, e per sempre, dissolti nel nulla? Non li rivedremo mai più? Che
senso ha, allora, il loro dolore? Il cristianesimo non ha nulla da dire su di
loro e per loro? Grazie.
Andrea
Guercio – Mombercelli (Asti)
«"Fido" è morto: che ne sarà di lui?» – così
ho riassunto la lettera del nostro lettore, che pone una bella domanda, ahimé
alquanto trascurata dalla teologia cristiana sia classica sia moderna, con
pochissime eccezioni. La prima è ovviamente quella di Francesco d’Assisi
(1182-1226), che secondo quanto scrive il suo primo biografo Tommaso da Celano
«chiama col nome di fratello tutti gli animali, benché in ogni specie prediliga
quelli mansueti». Una seconda eccezione è Albert Schweitzer (1875-1965), che
riassunse la sua vita e il suo pensiero nel principio del «rispetto per la
vita» in ogni sua manifestazione: «Un uomo è morale soltanto quando considera
sacra la vita come tale, quella delle piante e degli animali tanto quanto
quella dei suoi simili, e quando si dedica ad aiutare ogni vita che ne ha
bisogno». Una terza eccezione è Karl Barth (1886-1968), che nella sua Dogmatica
ha dedicato agli animali (ma anche alle piante) molte pagine estremamente
suggestive e istruttive, nel quadro della dottrina della creazione, ma non
solo. Queste eccezioni, purtroppo, non hanno fatto scuola. La pur bella e
pregevole Encyclopédie
du protestantisme pubblicata
a Ginevra e Parigi in prima edizione nel 1995 e in seconda «rivista, corretta e
accresciuta» nel 2006, contiene una voce sugli angeli (il che va benissimo), ma
non una sugli animali e tanto meno sulle piante (il che va malissimo). Speriamo
in una terza edizione ulteriormente «corretta e accresciuta» che contenga
queste voci ora mancanti. La loro mancanza rivela una lacuna, per non dire un
vuoto, che sta dentro di noi. Anche la Dogmatica in tre volumi di Gerhard
Ebeling, peraltro eccellente, parla molto della Natura, ma non specificatamente
di animali e piante. Ne parla invece il nostro lettore, con una domanda molto
specifica: c’è un aldilà per gli animali? (per quelli «domestici», dice lui, ma
io allargherei il discorso a tutti).
La sua domanda però ne contiene molte altre, a
cominciare da quella fondamentale della differenza tra l’uomo e l’animale,
molto netta nel racconto biblico, che parla di un «dominio» dell’uomo sugli
animali (Genesi 1, 28). Va però precisato che questo dominio, comunque fatale
per gli animali, non comportava, all’inizio, il diritto dell’uomo di uccidere
gli animali per cibarsene. Questo diritto venne affermato solo più tardi, dopo
il diluvio (Genesi 9, 3). La differenza tra l’uomo e l’animale è stata
espressa, tra gli altri, in termini classici da Tommaso d’Aquino il quale, pur
sostenendo che Dio è in qualche modo «presente» in tutte le cose da lui create,
quindi anche negli animali, afferma però che tutti gli animali, anche quelli
superiori, sono «situati a grande distanza dall’immagine di Dio» (longe a
similitudine divina remota), «mentre l’uomo si dice formato "a immagine e
somiglianza" di Dio». La differenza, secondo la tradizione biblica, è
questa, ed è grande. In altre tradizioni religiose invece, soprattutto
orientali, la differenza sembra meno netta, tanto che in quelle che credono nella
reincarnazione (il Buddismo e alcune correnti dell’Induismo) la differenza è
così labile che l’anima dell’uomo può cadere così in basso da finire, almeno
provvisoriamente, nel corpo di un animale – dottrina, questa, impensabile nel
quadro del pensiero biblico.
Detto questo, resta però il fatto innegabile – tutti lo
sanno, ma non sempre lo ricordano – che l’uomo è un mammifero come tanti altri
animali, è dunque anche lui anzitutto un animale. Aristotele lo definiva
animale «razionale» (in greco loghikòn) e «politico» (in greco: politikòn), ma pur sempre un animale. Prima di lui già il
racconto biblico della creazione aveva significativamente accostato l’uomo al
mondo animale, collocando la sua creazione non in un giorno speciale riservato
a lui solo, ma associandolo nello stesso giorno, il sesto, alla creazione degli
animali terrestri. Prima di parlare della differenza, occorrerebbe dunque
illustrare la vicinanza e comune appartenenza delle due condizioni, quella
animale (che tra l’altro ha la precedenza nell’ordine della creazione) e quella
umana (che segue). In questo quadro non è forse inutile riferire una
considerazione di carattere generale sul rapporto uomo-animali fatta dallo
scrittore francese Montaigne (1533-1592), segnalatami dal pastore Angelo
Cassano di Locarno (Ticino), che ringrazio. Nei suoi celebri Essais Montaigne rimprovera all’uomo
il suo orgoglio e la sua presunzione quando si arroga il diritto di giudicare
gli animali: «Come può l’uomo conoscere, con la forza della sua intelligenza, i
moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce
quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo con la mia gatta,
chi sa se essa non faccia di me il suo passatempo più di quanto io faccia con
lei?». Noi li consideriamo bestie; forse anche loro ci considerano bestie. In
fondo, comprendiamo poco di loro, come loro comprendono poco di noi. Perciò
«bisogna che osserviamo la parità che c’è tra noi. Noi comprendiamo
approssimativamente il loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco
nella stessa misura». Dunque, dice Montaigne, il rapporto uomo-animali non va
impostato in termini di superiorità e inferiorità, ma di parità. Queste
considerazioni ci introducono bene alla domanda del nostro lettore: «C’è un
aldilà per gli animali?».
A questa domanda non c’è, che io sappia, nella Sacra
Scrittura, che è la nostra guida e norma nelle questioni di fede e vita, una
risposta diretta ed esplicita. Ci sono però tre ordini di pensieri che
consentono una risposta relativamente sicura, benché indiretta. Il primo è la
creazione, il secondo è il patto, il terzo è la promessa messianica.
1. Nella visione biblica la creazione è anzitutto
creazione di animali (e piante). L’uomo viene dopo, ed è confinato sulla terra,
mentre gli animali popolano anche il cielo e il mare. Come sarebbe vuoto il
creato se ci fosse solo l’uomo! Non sarebbe il creato uscito dalle mani di Dio.
Un creato senza animali è biblicamente impensabile. Ecco perché insieme a Noè
vengono salvati nell’arca anche gli animali: questo può valere come figura di
una salvezza comune. Persino il Mar Morto, secondo il profeta Ezechiele, non
resterà per sempre morto e quindi senza pesci: dal Tempio uscirà un torrente
che vi si immergerà rendendo le sue acque «sane» (47, 5) e quindi anch’esse
popolate di animali marini (v. 9). Insomma, gli animali fanno parte integrante
della creazione, e non c’è alcun motivo per ritenere che non facciano parte (in
forme che, certo, non possiamo immaginare) della nuova creazione, cioè di un
nuovo cielo e una nuova terra (il mare, a quanto pare, purtroppo, non ci sarà
più, secondo Apocalisse 21, 1, a meno di una bella sorpresa finale; comunque ci
sarà un grande fiume e acqua in abbondanza).
2. Non solo gli animali sono benedetti da Dio, come la
coppia umana, in vista della procreazione (Genesi 1, 22 e 28), ma essi sono
inclusi ed esplicitamente menzionati nel Patto che Dio stabilisce con Noè, il
cui simbolo è l’arcobaleno (Genesi 9, 8-17). Questo patto è «perpetuo» (v. 16)
e il suo contenuto è la vita che, in tutte le sue espressioni e manifestazioni,
non sarà più distrutta. Chi è nel Patto – e gli animali ci sono – non è nella
morte, ma nella vita. L’uomo e gli animali sono ugualmente mortali (Ecclesiaste
3, 19-21!!), ma, in virtù del Patto, la loro morte non è definitiva.
3. Secondo Isaia 11, 6-9 la promessa messianica è un
mondo animale riconciliato al suo interno («il lupo abiterà con l’agnello») e
con l’uomo («il lattante si trastullerà sul buco del serpente»). Questa
promessa, che associa uomini e animali, può essere collegata con il discorso di
Paolo sulla creazione che ora è «sottoposta alla vanità», cioè alla morte, e
perciò «geme insieme ed è in travaglio», ma «sarà anch’ella liberata dalla
servitù della corruzione», cioè restituita a una vita senza la morte dentro
(Romani 8, 20-23). In questa creazione liberata, come ho detto al punto 1, ci
sono anche gli animali.
C’è dunque speranza per «Fido»? Sì, come c’è per il suo
padrone e per tutti. C’è però una sottile insidia che può annidarsi nella
domanda del nostro lettore e che è bene segnalare. L’insidia è di considerare
l’Aldilà una sostanziale fotocopia dell’Aldiquà e il mondo futuro una semplice
replica (migliorata) di quello attuale. Sarà invece un mondo nuovo, e non si
insisterà mai abbastanza sulla portata di questo aggettivo. I rapporti tra le
persone e quelli con gli animali non saranno più quelli odierni, ma saranno
trasfigurati, cioè trasformati in rapporti completamente diversi, luminosi,
trasparenti, felici, perché saranno unificati in Dio, che sarà «tutto in tutti»
(I Corinzi 15, 28).
tratto
dalla rubrica "Dialoghi
con Paolo Ricca"
del settimanale Riforma del
19 ottobre 2007