Cerca nel blog

venerdì 1 luglio 2011

La teologia del Novecento - importante libro di Fulvio Ferrario - Carocci Editore




Fulvio Ferrario, La teologia del Novecento

Carocci editore, 2011


- la seguente recensione

è tratta dalla rubrica: IL LIBRO DEL MESE a cura di Giorgio Tourn

www.chiesavaldese.org


IL LIBRO DEL MESE

a cura di Giorgio Tourn



Un secolo è un arco di tempo considerevole e il Novecento, anche se viene detto "secolo breve", è stato così carico di eventi e di esperienze da presentarsi a noi oggi come secolo lungo. Ridurre le sue vicende teologiche in 300 pagine è operazione quanto mai difficile, tanto più se si tratta di presentarlo ad un pubblico generico, non specialistico; Ferrario riesce nell’intento svolgendo il programma in stile discorsivo, senza termini tecnici e senza dare nulla per preconosciuto. 





Il titolo del volume corrisponde pienamente al contenuto, si tratta della teologia, cioè della riflessione condotta dai cristiani di tutte le confessioni, protestanti, cattolici, ortodossi. Il lettore è posto così di fronte ad un arco di pensieri molto ampio di pensieri e può rendersi conto della grande varietà di approcci che il mondo cristiano moderno ha assunto di fronte i dati della sua fede.


Colpisce il fatto che raramente queste riflessioni si pongano in dialogo fra loro, nella maggioranza dei casi procedono secondo le rispettive tradizioni ripensando la propria identità. Le confessioni si aggiornano ma nei parametri delle rispettive tradizioni, è fuor di dubbio che il cristianesimo ha come centro vitale il fatto unico dell’incarnazione di Cristo, ma, come tutte le grandi religioni, è un arcipelago di realtà spirituali, di sensibilità, di approcci diversi.
Partendo dall’ Essenza del Cristianesimo di Harnack, il classico del pensiero liberale protestante, l’esposizione di Ferrario percorre il secolo colloquia con Barh e Rahner, Bultmann e von Balthasar, Pannenberg e Tillich, giungendo sino alle molte espressioni teologiche in cui la chiesa del 2000 cerca di tradurre la sua fede. Come tutti i testi lineari e meditati non può essere riassunto né richiede commenti, va letto.

Questa carrellata teologica ha suscitato in noi alcune riflessioni marginali che ne sottolineano l’interesse. Ci si può chiedere anzitutto quale lettura ne può fare un italiano odierno; quand’anche si tratti di una persona colta o interessato ai problemi teologici, l’incontro con questo universo risulterà sempre assai complessa (di qui l’utilità del volume!).
La nostra è infatti una cultura in cui la riflessione teologica è quasi nulla. Tutto ciò che tocca in qualche modo il tema della fede cristiana è riservata ai preti, che peraltro si occupano oggi di tutt’altro. C’è la religione, è vero, ma si tratta di tutt’altro: un fenomeno sociale, il mondo delle sette, il mistero, lo joga; la fede cristiana è essenzialmente pratica, devozione, spiritualità, non pensiero, chi riflette: il filosofo, lo scienziato, il giornalista evita accuratamente di compiere lo sforzo di pensare la fede, si possono credere solo le cose che non si dimostrano ("credo perché è assurdo"secondo il detto medievale). Il massimo della riflessione teologica sono i dialoghi fra un giornalista o un filosofo agnostico e un teologo (Augias-Mancuso, Scalfari-Martini, Odifreddi-Ratzinger).

Una cultura, la nostra che si crede molto libera e moderna ed è ferma all’Enciclopédie di Diderot, quando non al Principe, non ha forse scritto De Sanctis: «l’Italia del Pico e del Pomponazzo il suo Lutero fu Nicolò Machiavelli»? La base del nuovo edificio della modernità non poteva essere dal suo punto di vista la religione ma la scienza. 
Si tratta di un tragico destino, di una fatalità storica o di una condizione naturale del carattere italiano? La domanda introduce la seconda riflessione. Il testo di Ferrario mostra in modo inequivocabile che l’assenza di pensiero teologico nel Novecento italiano si deve attribuire alla repressione esercitata dal magistero romano. Con l’enciclica Pascendi del 1908 è stata infatti stroncata ogni studio che, affiancandosi alle ricerche effettuate dal protestantesimo, uscisse dai canoni della teologia tradizionale. Chiuse le riviste e condannati gli esponenti, di quello che si veniva detto il "modernismo" (con accezione svalutativa: l’aspetto negativo della modernità), veniva imposto a tutto il clero un giuramento "anti modernista".

Il cattolicesimo del Novecento vivrà sino al Concilio sotto l’incubo della Pascendi, lo sforzo dei suoi uomini più avvertiti in Francia e Germania sarà quello di riuscire a scrivere e insegnare, dribblando la condanna; sforzo che il più delle volte risulterà inutile perché la maggioranza finì nel silenzio, anche se gli scritti, che ormai non si possono più mandare al rogo, proseguono il loro cammino, e diffondono pensieri che nemmeno il Sant’Uffizio può controllare. L’Italia è naturalmente l’immagine più perfetta di questa politica culturale, meglio anti culturale, della Pascendi. La vicenda di Ernesto Buonaiuti, il massimo storico del cristianesimo antico, espulso dall’insegnamento universitario da una norma degli accordi lateranensi Vaticano-Mussolini resta a simbolo di un’epoca.
Ciò che non è nato può sempre nascere, ciò che è stato distrutto però non rinasce, neanche in Italia, terra di miracoli.

Accompagnando via via il personaggio, di cui Ferrario illustra così bene i libri e le riflessioni, non si può evitare di fare una terza riflessione, ponendo a confronto questo impegno culturale con la vita dei cristiani, degli uomini e le donne che negli stessi anni hanno vissuto la loro fede nell’esistenza quotidiana. Mentre infatti venivano scritte queste migliaia di pagine uomini e donne intessevano, con la loro presenza e la loro azione, la realtà della chiesa, a volte avendo accesso a questa letteratura, ma spesso ignorandone l’esistenza. I teologi fanno il loro lavoro di ricerca teorica ma la comunità cristiana vive il vissuto della fede. Che rapporto esiste fra loro? Mentre i Padri della Chiesa ed i riformatori erano pastori del loro "gregge", per usare l’espressione tradizionale, molto spesso i teologi del Novecento erano docenti universitari o frati, hanno esercitato una indubbia influenza sulla cristianità ma difficile dire in che misura.

Leggendo il testo di Ferrario e ripensando alla vita delle nostre chiese nella seconda metà del secolo, quella di cui serbiamo il ricordo ci rendiamo conto di quanto poco le tempeste, le polemiche, le mode teologiche abbiano inciso. Sono come le tempeste sul mare, in superficie, man mano che si scende in profondità non si avvertono e si trovano invece le grandi correnti sotterranee indefinite ma irresistibili.
Questa osservazione va tenuta presente quando si racconta o si legge la storia; gli storici la raccontano con grande perizia ma utilizzando solo i testi scritti, gli unici che sopravvivono, il vissuto delle creature muore con loro. Avessimo solo le opere di Calvino sarebbe impossibile fare il ritratto dei ginevrini riformati del Cinquecento, molto più delle sue opere ci illuminano i verbali del Consistoire e del Consiglio, ed anche avvalendoci di questo ausilio non potremo mai dire cosa pensassero e come vivessero la loro fede quei cristiani.


27 giugno 2011